Un libro come questo di Rosita Copioli (Le figlie di Gailani e mia madre, Il labirinto scritto di Franco Maria Ricci editore, pagg. 134, euro 30) ha il potere di sorprendere il lettore e di travolgerlo con il suo procedere a ondate continue, con i gorghi profondissimi che si aprono dietro quasi ogni immagine e ogni nome, con la sua ciclicità epica così nuova e personalissima.
La poesia di Rosita Copioli, che è anche traduttrice e studiosa dottissima, ha avuto dagli esordi una forte propensione per la lirica. Qui, in questo libro, il lirismo è solo una componente dell'insieme: come ha scritto splendidamente Pietro Citati nel suo Prologo «la poesia diventa racconto: una marea alta della storia come nell'epica antica e nei poemi medioevali». La metafora marina si addice a questo libro: l'autrice scrive come se stesse nuotando. Il lettore si abbandonerà a un flusso incantatorio, come se stesse leggendo un poema del Boiardo.
L'incanto incomincia subito dalla descrizione con una ricchezza nomenclatoria dagli effetti quasi estatici del giardino della piccola casa bianca dove si mescolano verbene e violacciocche, glicini e lillà. Siamo a Riccione, la Riccione delle vacanze al mare del Duce, della villa Ceccarini, della famiglia dell'autrice. Dal disastro della guerra, Luisa, la madre dell'autrice, «rarissime foto aveva salvato»: e rare anche le cose che salvò, «insieme al corredo/ di lini e batiste delle impressionanti camicie da notte/ ampissime leggere come farfalle». Tra le foto, una color seppia con dedica che ritrae tre ragazze in posa, «dagli occhi arabi o assiri», e le bocche carnose, sensuali e innocenti. Il ritrovamento della figlia Rosita di questo materiale, foto e lettere, di cui la madre le aveva raccontato così poco, dà avvio a una ricerca spasmodica, che si dirama soprattutto nella storia e nelle sue tragedie. Nel 1946 un campo di concentramento femminile era stato allestito a Riccione, e lì erano prigioniere le ragazze della foto: Widad, Neijle e Nabila Gailani, le figlie di Rashid el Gailani, ex primo ministro dell'Iraq, impegnato nella causa della liberazione dagli inglesi e in odio agli inglesi amico e alleato di Hitler. Cosa aveva fatto incontrare le tre ragazze Gailani con la madre dell'autrice? Cosa aveva cementato il loro affetto? Rosita Copioli non ha risposte. Evita il romanzesco. E nelle memorie private fa subito confluire quelle storiche.
È incredibile come questo libro, dovuto a una donna, sia anche un libro di guerra e di riflessioni sulla Seconda Guerra Mondiale e i suoi protagonisti. Con le immagini di Churchill che per la prima volta è vicino al fronte sulla Linea Gotica, con Roosevelt che lascia mano libera a Stalin su Berlino sentendosi quasi in colpa per i 400000 caduti americani contro i 22 milioni di sovietici, e soprattutto con le vicende intricate tra Medio Oriente e Impero Ottomano vissute da Gailani. La guerra ha reso l'anno 1945 secchissimo come se alla terra senza pioggia bastasse l'enormità di sangue versato.
Il libro si chiude con una struggente, bellissima, ritrovata intonazione lirica, in cui da un treno che porta a Roma dal mare, l'autrice si rivolge a se stessa, o allo spirito della madre, scrivendo «Tu sai cosa è/ la compassione».
Questo poema così labirintico, così intriso di memorie, di sofferenze e di sangue, è anche una testimonianza di pietà filiale, e di compassione per i vinti, per tutto quello che scompare e che soltanto la poesia può fare rivivere.
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