Crollisti, ecoliberali, "bio". Tutte le sfumature verdi

In Francia Luc Ferry ha individuato sette diverse tipologie di ecologisti. Ecco la mappa italiana

Crollisti, ecoliberali, "bio". Tutte le sfumature verdi

L'ecologia, la transizione verde a un mondo sostenibile, come si dice, è diventata una sorta di mantra del nostro tempo. Un sapere di sfondo, una sorta di metapolitica, che, seppure all'origine (nel secolo scorso) venato di forti tinte conservatrici, si è acquartierato ultimamente con un certo successo sulle rive progressiste.

In verità, se si va un po' più a fondo, ci si rende conto che il modo di declinare l'ambientalismo presenta differenze anche molto pronunciate nei diversi gruppi e movimenti che ne hanno fatto la loro bandiera. Luc Ferry, uno dei filosofi più influenti oltralpe, molto presente sui media e impegnato politicamente in area centrista e repubblicana (fu anche ministro della Gioventù, dell'Educazione nazionale e della Ricerca con Jacques Chirac), ha senza dubbio il merito di aver preso più volte posizione contro l'ecologismo radicale, soprattutto contro le sue ricette «punitive», come egli le definisce. Il catastrofismo e l'idea di una palingenesi, cioè una visione tutto sommato gnostica, non è però l'unico modo di concepire l'ambientalismo e di dare un senso accettabile a questa esigenza dei tempi. Ferry lo ribadisce ora individuando sette tipologie di ecologisti in un volume che esce in questi giorni in Francia proprio mentre l'Assemblea nazionale discute un progetto di legge con misure molto severe per combattere il controverso «cambiamento climatico», che secondo molti scienziati (non tutti per la verità) starebbe avvenendo per cause antropiche, cioè dovute all'azione dell'uomo: Les septes ecologis. Pour une alternative au catastrophisme antimoderne (Édition de l'Observatoire). Anche se in Italia queste posizioni non sono ancora ben delineate, e prevale per lo più (come al solito) solo una generica retorica ambientalista, ci sembra che ripercorrere la mappa di Ferry, qui riproposta con qualche adattamento e aggiunta, possa essere utile anche per il nostro dibattito.

«Crollisti» (éffrondistes) o «collassologi». La prima categoria individuata è quella che ben conosciamo di chi praticamente invoca interventi pubblici massicci e severi per provare a invertire una tendenza che ci starebbe portando rapidamente verso l'implosione del pianeta. Ovviamente, è una tesi che non ha molte credenziali scientifiche, e nessuna dal punto di vista storico-naturale: anche se le avesse, non considera il fatto che il nostro pianeta ha di fatto superato crisi ben più preoccupanti nei millenni passati (si pensi alle glaciazioni). Greta Thunberg che apostrofa i potenti e che non è mai contenta e pretende sempre di più ben simboleggia questa categoria di ecologisti. Fa specie che i potenti a volte la seguono nelle sue idee. O meglio non può che spiegarsi con quel «catastrofismo» e radicalismo che, insito in molte religioni, lo è anche in questa forma ultima e secolarizzata.

«Allarmisti rivoluzionari». Sono gli eredi della critica marxista al capitalismo: tutti i guai sarebbero dovuti al nostro sistema di produzione e quindi alla sua idea di uno sviluppo tendenzialmente infinito. Interessati al collasso del capitalismo, costoro vedono venire al pettine le contraddizioni di cui parlava Marx (e che già la storia ha abbondantemente contraddetto). Per loro la battaglia per l'ambiente fa tutt'uno con quella terzomondista, ecofemminista e vegana. Solo la «decrescita», che sarà «felice», farà ritrovare all'uomo sé stesso. Saranno pure figli dei marxisti, come pensa Ferry, ma sono figli degeneri: Marx era convinto che l'uguaglianza dovesse realizzarsi nella ricchezza materiale e non nella povertà. Era, detto altrimenti, uno «sviluppista».

«Riformisti». Ritengono, in verità con buone ragioni, che gli interventi limitati nel tempo e nello spazio, la cura del proprio ambiente di prossimità, la manutenzione della nostra casa e della nostra città, sortiscano più effetti che non interventi ambiziosi e programmati dall'alto.

«Ecomodernisti». Sostengono che sviluppo e ambientalismo, capitalismo e transizione verde, possano andare a braccetto. In quest'orizzonte si inserisce propriamente l'idea espressa da una delle parole più di moda di questo momento: la sostenibilità. Hanno ragione forse nella sostanza (non dimentichiamo che il capitalismo come il liberalismo ha sempre necessità di ridefinirsi e lo fa attraverso la schumpeteriana «distruzione creatrice»); meno nella forma, che il più delle volte prevede molto pronunciati interventi dall'alto e statalisti.

«Fautori dell'economia circolare». Sono coloro che preconizzano di risparmiare razionalizzando i consumi, evitando gli sprechi e riutilizzando, cioè mettendo di nuovo in circolo, gli scarti. Per alcuni versi, le loro istanze si incrociano con quelle della «sobrietà» francescana.

«Fautori di un'agricoltura biologica e della causa degli animali». Per costoro la natura acquista un carattere quasi sacrale, di impronta neopagana: l'uomo non solo è inessenziale all'ecosistema, ma è addirittura un danno. Una sorta di virus da superare in una inquietante prospettiva post-umana.

«Fautori di un'ecologia positiva». È la posizione di Ferry, a cavallo fra riformisti, ecomodernisti e fautori dell'economia circolare.

«Ecoliberali». Come sempre accade nelle tassonomie, tutti questi tipi di ecologismo non si danno mai allo stato puro, sono sempre commisti. Le distinzioni di Ferry sono in buona parte post-ideologiche, non concernono destra e sinistra. Forse proprio per questo, essendo il liberalismo soprattutto una metodologia, si potrebbe aggiungere ad esse anche una ottava categoria, che a me sembra la più indicata di tutti: quella dell'ecologia liberale. Essa funziona in negativo più che in positivo: è cioè per la rivoluzione vede ma vuole evitare, perché giudica deleterie, tre caratteristiche del moderno ambientalismo.

E cioè la burocratizzazione dei processi, lo statalismo e il costruttivismo; il moralismo astratto del politically correct; l'idea di un capitalismo di Stato che scimmiotta in qualche modo, in pieno Occidente, il modello cinese.

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