La curatrice invita a esporre il compagno

Luca Beatrice

Aprirà il 13 maggio la 57ma Biennale d'arte di Venezia, presentata ieri a Ca' Giustinian in una conferenza stampa più snella del solito, con il presidente Paolo Baratta e la direttrice Christine Macel. Viva arte viva, titolo peraltro non memorabile, dovrebbe porre al centro le opere, anche di figure marginali e non il sistema con le sue regole ormai fin troppo abusate. Una mostra ispirata all'umanesimo, per un'arte che Baratta definisce di resistenza, liberazione e generosità, che resterà aperta fino al 26 novembre in concomitanza con la nuova edizione di documenta a Kassel.

In totale 120 gli artisti invitati e tra questi ben 103 non hanno mai partecipato alla Biennale. Scelta sulla carta coraggiosa da parte di Macel, già curatrice del Centre Pompidou e dei Padiglioni belga e francese in tempi recenti. Una selezione che vorrebbe andare al di là delle mode ma attenzione, quella del repechage è comunque una tendenza assai in voga - una Biennale, dice lei, «con gli artisti, degli artisti e per gli artisti», dove il curatore creativo fa un passo indietro per lasciar posto allo studioso e al critico. Organizzata in nove episodi, ciascuno con titoli molto suggestivi i cosiddetti «trans-padiglioni» degli artisti e dei libri, del tempo e dell'infinito, delle gioie e delle paure, della terra, delle tradizioni, degli sciamani, dei colori, del dionisiaco ecc... - , intenzionata a dedicare attenzione ad alcune figure scomparse o comunque non così centrali, attraverso un processo di ricerca finemente intellos come piace ai francesi.

Rispetto alle ultime due edizioni la bellissima di Gioni e l'incerta di Enwezor - vedremo probabilmente un'altra Biennale tra i Giardini e l'Arsenale, anche se siamo comunque nella realtà globale e dunque la presenza di artisti che provengono da tutto il mondo, estremo Oriente in particolare, è fenomeno ricorrente.

Pochissime le superstar, e c'era da aspettarselo: i nomi più noti sono quelli di Olafur Eliasson, Ernesto Neto, Gabriel Orozco, Philippe Parreno, Kiki Smith, Anri Sala e Franz West. Attese alcune curiosità, quali l'americano Charles Atlas, il giovane pittore rumeno Ciprian Muresan, il regista John Waters, l'anziano concettuale filippino David Medalla e soprattutto il primo ministro albanese Edi Rama, prima artista poi politico.

A loro si aggiungono le presenze dei padiglioni nazionali, dove spiccano in nomi di Tracey Moffat (Australia), Erwin Wurm (Austria), Xavier Veilhan (Francia), Carlos Amorales (Messico), Sharon Lochkart (Polonia) e Mark Bradford (USA), per 85 paesi di cui quattro (Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria e Kazakistan) invitati per la prima volta.

E gli italiani? A parte i tre selezionati da Cecilia Alemani, sono sei nella mostra internazionale. E anche questa volta raccolti più nel passato che nel presente. Irma Blank, tedesca ormai stabile nel Bel Paese, è ormai un caso sul mercato, con quotazioni importanti e ottime gallerie che ne supportano il lavoro, ha 83 anni. Dalla pittura analitica, da quel minimalismo rigoroso ma un po' noioso degli anni Settanta oggi tornato di moda, provengono il torinese Giorgio Griffa (1936) e il fiorentino Riccardo Guarneri (1933). Per la delicata ricamatrice sarda Maria Lai, scomparsa molto anziana nel 2013, si tratta di un ritorno.

Quanto ai più giovani, Macel ha selezionato Salvatore Arancio, dal curriculum piuttosto ordinario, e il suo compagno Michele Ciacciofera, che vive con lei a Parigi, un pittore tradizionale e davvero poco noto. Vista la scelta familiare così rischiosa, che non mancherà di suscitare qualche polemica, speriamo almeno sia valido.

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