Non ha mai ricevuto una candidatura al David di Donatello, Sandra Milo, che pure ha recitato per i più importanti registi della storia del nostro cinema: da Roberto Rossellini a Federico Fellini, da Gabriele Muccino a Pupi Avati. E adesso l'Accademia del Cinema italiano pone rimedio: l'11 maggio, infatti, «Sandrocchia», come affettuosamente la chiamava il suo mentore Fellini, riceverà il David alla Carriera, inteso quale omaggio a Salvatrice Elena Greco, come si chiama all'anagrafe quest'interprete sottratta alla cristallizzazione dell'oca giuliva, della bionda svampita, della curvacea dagli amori importanti.
Leggenda vuole che il sogno erotico del felliniano Giulietta degli spiriti sia passata dalle braccia di Pietro Nenni a quelle di Bettino Craxi, in una continuità di fede socialista che soltanto le grandi amanti conoscono. Vero o falso che sia, l'ottantottenne che al Festival di Venezia 2019 ha sfilato sul tappeto rosso con Alessandro Rorato, una trentina d'anni meno di lei, è una gran lavoratrice e una donna capace di replicare alle critiche con ironia. «Io ridicola? Ogni età ha la sua bellezza», risponde a chi trova da ridire sulle sue avventure. Del resto, solamente lei, Salvatrice, nata a Tunisi nel 1933, poteva posare senza veli per la copertina del magazine Flewid. «Sei uno spettacolo di donna, ancora oggi la numero uno», le dicono su Instagram nel mezzo della pandemia. E pensare che non sa neanche accendere un computer.
«Ciò che sono oggi, l'ho conquistato piano piano nella mia vita, passo dopo passo. E un uomo dopo un altro, perché mica mangi solo pasta o pizza: non capisco la fedeltà», dice con quella voce di testa inconfondibile, rimasta impressa quando in tv urlò «Ciroooo», scappando dalle telecamere. Le avevano fatto uno scherzo crudele, facendole credere che qualcosa di brutto fosse capitato all'amato figlio Ciro, uno dei figli nati dal matrimonio con Ottavio De Lollis (l'altra è Azzurra).
E poi c'è Deborah, giornalista televisiva, avuta dal produttore greco Moris Ergas, il quale aveva la brutta abitudine di malmenarla, aprendo di botto la porticina della sua roulotte, in una pausa di lavorazione di qualche film. Geloso, era geloso Ergas: Sandra è sempre stata una donna libera e «gli uomini sentivano di non avere la certezza del possesso. Che poi, è quello che vogliono, quello per cui le uccidono», riflette. Di botte ne ha prese parecchie, Sandrocchia, ma in tempi nei quali non usava denunciare, ribellarsi. Eppure, lei è una femminista ante litteram: ha sempre lavorato per mantenere la famiglia e anche oggi alterna teatro, tivù e cinema, pensando di portare a casa un pezzo di pane, come fanno gli uccellini.
Il padre, nel 1936 arruolato per la guerra d'Africa e tornato a casa a guerra finita da un pezzo, per poi sparire ancora, è stato il primo uomo a lasciarla, lei sola, con la madre e la nonna, a Tunisi. Sbarcata, adolescente, dalle parti di Pisa, presso certi parenti, la Milo nei '60 fu notata da Antonio Pietrangeli, che la volle prima ne La visita e poi in Adua e le compagne. Della sua fisicità avvenente il regista si servirà ancora, mentre la sua vena leggera non sfugge a Steno, il papà dei Vanzina che la mette in qualche film con Totò. Certo, agli inizi non si tratta d'una grande attrice: conta di più il fisico appariscente. Ma, intanto, Rossellini la chiama per Vanina Vanini (1961), trasformato in Canina Canini dai detrattori.
E poi Corbucci, Zampa, Bolognini, Gregoretti e i più bei nomi del cinema italiano, fino al «Mago di Rimini», che la sognava di notte, facendone la sua amante lungo 17 anni. Adesso è l'ora del David.«Sono grata ai grandi registri con i quali ho lavorato - ha detto - e grata ai miei figli che mi hanno insegnato la pazienza e così ho saputo aspettare anche questo premio».
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