Il leone ruggirà ancora. In streaming, però, visto che l'iconico re della foresta, marchio di fabbrica della MGM, si trasferisce dagli studi di Hollywood a quelli di Amazon. Un colpaccio di Jeff Bezos che, approfittando della pandemia e della conseguente morte del cinema in sala, così come lo conoscevamo fino a ieri, si è accaparrato l'enorme catalogo della Metro Goldwyn Mayer, già sull'orlo del collasso per via dei debiti pregressi.
Così una «library» di oltre 4.000 film, che hanno fatto grande la Città dei Lustrini e i suoi divi e che comprende titoli come Basic Instinct, James Bond e Poltergeist soltanto per citarne tre arcinoti finisce nelle mani di Amazon per 8,45 miliardi di dollari. Che finisse un'era s'era capito già dal clamoroso tonfo di Harvey Weinstein, fondatore della Miramax immediatamente scippatagli dal sistema, appena egli è stato sbattuto dentro. Per tacere della fine ingloriosa di un attore come Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali, ma mai processato. Sepolto lo star-system USA e i suoi giochini da Oscar, non c'è stato più bisogno né del produttore, né del suo sofà: adesso a dettare legge è la Rete e le ambizioni dello streaming globale passano per Amazon Prime Video, che da ora, forte del suo po' po' di catalogo, potrà competere con Netflix e altri soggetti d'un mercato in evoluzione ultrarapida.
Questa di Bezos è anche un'operazione-immagine, perché la MGM ha un nome che conta ancora a Hollywood, messa in ginocchio dal susseguirsi delle serie. Tuttavia la proprietà dei diritti di film come Rocky e Tomb Raider pesa talmente tanto che Amazon, nel frattempo, s'impegna a preservare l'eredità della MGM, acquisita con un granello di soggezione.
Comunque, 175 milioni di persone seguono i prodotti Amazon nel mondo (orrore, parlare di «prodotti» per riferirsi ai film: vedasi quanto detto e ripetuto da Martin Scorsese a proposito) e non c'è Quarto Potere che tenga, davanti a tali numeri. La storica compagnia di cineproduzione MGM, fondata il 17 aprile 1924 dalle parti di Beverly Hills, tra insulti, scandali e sesso sfrenato, ne ha viste di cotte e di crude e non sarà «zio Jeff», col suo lucido cranio, a rubarle la scatenata identità, il cui «imprinting» risale a Louis B.Mayer, uno che di ciak e deliri s'intendeva parecchio.
Basterebbe scorrere le pagine del bel libro di Kenneth Anger Hollywood Babilonia (Adelphi), per farsi un'idea di cosa volesse dire, ai tempi delle star e non degli anonimi attoretti da serie, trovarsi sotto la stella della MGM, col «roar» del leone nelle orecchie.
Aveva cominciato Marlene Dietrich, sfuggita ai nazisti, a dare scandalo travestita da uomo, ma questo era nulla di fronte ai sicari di Lucky Luciano che ammazzavano le divette Metro Goldwyn Mayer, colpevoli di non stare al gioco del boss.
Il Signor Cinespettatore, prima che la demenza del
politicamente corretto gli spappolasse il cervello come sta accadendo in questa fase, aveva diritto ai suoi divi&divine, agli scandali, alle morti giovani, alle strane coppie, agli amori invincibili e alle sbornie continue.
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