«I masnadieri» vincono l'ennesimo assalto

Per Giuseppe Verdi I masnadieri di Schiller erano l'opera della ribellione: figli contro padri e contro tutto. La lotta fra il male e il bene, incarnata dai fratelli-coltelli Carlo e Francesco Moor, porta alla distruzione generale. Il melodramma che il conte Andrea Maffei ridusse per il compositore è animato da Verdi con una rabbia senza fine (nei cori canaglieschi e nelle cabalette dei protagonisti): è la rivolta verso l'ordine costituito (siamo alla vigilia della polveriera del '48). Tutto questo ha espresso con misura ed efficacia lo spettacolo del regista David McVicar, che sottolineava l'aspetto autobiografico della tragedia di Schiller. Sul versante musicale Michele Mariotti ha governato con equilibrio e ordine, tagliando spesso le unghie che ci vorrebbero quando le fiammate verdiane avvampano. Lisette Oropesa ha superato con pieno merito il ruolo che Verdi scrisse di contropelo per l'usignolo Jenny Lind, trovando equilibrio fra espressività lirica e agilità. Sicuro e convincente, come sempre, sul piano vocale il tenore Fabio Sartori (Carlo); mentre il pur lodevole baritono Massimo Cavalletti rimaneva lontano dal nichilismo feroce del perfido Francesco. Presenza sempre importante quella di Michele Pertusi nel ruolo del padre Moor, sepolto vivo fra incapacità di amare e odio filiale.

Matteo Desole, Francesco Pittari e Alessandro Spina davano il giusto rilievo alle belle parti comprimariali. Peccato che la recita a cui abbiamo assistito (la sesta) fosse poco frequentata, animata da un claquer inesorabile che otteneva l'effetto di irritare quanti avrebbero applaudito di loro.

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