"Inventing Anna", la nuova serie Netflix su una geniale truffatrice

La ricostruzione di come una venticinquenne russa, fingendosi ereditiera, sia riuscita ad ingannare l'alta società newyorkese. Racconto interessante ma esageratamente prolisso

"Inventing Anna", la nuova serie Netflix su una geniale truffatrice

Inventing Anna, la nuova mini serie disponibile su Netflix, racconta la storia vera di Anna Sorokin (Julia Garner), una ragazza che, fingendo di essere un'ereditiera europea di nome Anna Delvey, si è fatta strada nell'alta società di Manhattan finendo poi in carcere per truffa.

I dieci episodi, della durata di almeno sessanta minuti ciascuno, traggono ispirazione da un famoso articolo del 2018 firmato da Jessica Pressler, giornalista che nella versione su schermo prende il nome di Vivian (Anna Chlumsky) e la cui prospettiva è sposata dal racconto.

La linea narrativa vede Vivian fare alcune visite ad Anna in prigione e intervistarla a più riprese. Le due non siano così diverse come credono: entrambe in cerca di riscatto personale e sociale, capiscono di aver bisogno l’una dell’altra e si usano a vicenda.

Anna tiene a nascondere le proprie origini russe, parla cinque lingue, ha una memoria fotografica e un’intelligenza sopra la media. Non particolarmente avvenente, è convinta di essere la più raffinata e colta imprenditrice in circolazione ed è focalizzata sul raggiungere qualsiasi cosa grazie a due armi infallibili come il calcolo e l’immensa faccia tosta.

Attraverso lunghi e numerosi flashback, cominciamo a farci un’idea della miriade di conoscenti che le girava attorno. Ogni episodio è incentrato su un personaggio del vecchio entourage di Anna e di cui è lei a parlare ma di cui ascoltiamo anche la personale versione dei fatti, una volta raggiunti da Vivian. Chi sia affidabile a livello narrativo e chi no, lo scopriremo in itinere.

La ricostruzione della bella vita condotta dalla giovane socialite dotata di una disponibilità di denaro apparentemente infinita, è una full immersion nello sfarzo, tra outfit firmati e location esclusive.

La strategia della protagonista, da libera, prevedeva di conoscere le persone giuste ed usarle come leve per mettere mano ad ingenti fondi senza mai dover dare una garanzia. Durante la sua scalata sociale la vediamo guadagnarsi sostenitori illustri, millantando di avere presto a disposizione un fondo fiduciario da oltre 60 milioni di dollari. Si scopre poi che il progetto della ragazza è di essere ricordata e ammirata per la ADF, Anna Delvey Foundation, un circolo d’arte, di lusso e svago da costruire da zero e destinato all’high society newyorkese.

La girandola di situazioni tocca continuamente l’apice di settori come la moda, l’arte e gli affari. Tradimenti e colpi di scena scandiscono una narrazione tutt’altro che lineare, in cui passato e presente si specchiano l’uno nell’altro. La vicenda, però, è resa in maniera ammorbante: le scorribande di questa ambiziosa e giovane outsider tedesca, si somigliano tutte. “Inventing Anna” gioca a rendere invisibile il confine tra la scaltra arrampicatrice sociale e la giovane col fiuto per gli affari, ma se la prende davvero troppo comoda. Alla lunga diventa frustrante perdere ogni speranza di nitidezza circa la disamina della reale personalità della protagonista.

Solo quando le frodi a banche, ricchi conoscenti e hotel a cinque stelle diventano conclamate, si aprono piccoli spiragli per sbirciare oltre la maschera, ma durano il tempo di un breve cedimento: Anna resta un’odiosa e al tempo stesso affascinante manipolatrice dalla prima all’ultima puntata. Si atteggia a gelida diva perfino dietro le sbarre e da spettatori è facile trovarla fastidiosa, quando non detestabile, ma è anche indubbio ammirarne la magistrale capacità di giocare le sue carte in una partita che coinvolge professionisti navigati e affermati.

Nel complesso le aspettative su “Inventing Anna”, che erano molto alte perché a concepire la serie è stata l’iconica Shonda Rhimes (già autrice di

«Grey's Anatomy», «Scandal» e «Bridgerton»), vengono in parte disattese. Il documentario “Il truffatore di Tinder” (sempre su Netflix) riesce a sviscerare adeguatamente una storia simile nell'onesta durata di meno di due ore.

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