"La mia generazione è stata salvata dal #MeToo": faccia a faccia con Ludovica Martino

Intervista a Ludovica Martino, protagonista de “La svolta” di Riccardo Antonaroli, dal 20 aprile disponibile su Netflix

"La mia generazione è stata salvata dal #MeToo": faccia a faccia con Ludovica Martino

Il grande successo di “Skam”, ma non solo. Ludovica Martino è tra le attrici più interessanti del panorama italiano e, nonostante i soli 25 anni, ha una maturità impressionante. Dopo aver dato “l’addio” al mondo teen, ha deciso di mettersi in gioco, tra “Lovely Boy” e “Security”, fino a “La svolta”, opera prima di Riccardo Antonaroli dal 20 aprile su Netflix.

Ne “La svolta” interpreta una giovane che vive una relazione tossica. Perché ha accettato questo personaggio?

“Il mio personaggio racconta una relazione tossica, ma non c’è uno spazio tale per raccontare questa storia. Per la prima volta in sette anni di carriera ho scelto il film molto di più del personaggio che andavo ad interpretare. Quando mi è arrivata la sceneggiatura sono rimasta incantata. La storia è scritta molto bene, mi sono emozionata per questa storia di fratellanza. Mi sono lasciata trasportare e ho sposato il progetto. È vero che il mio personaggio racconta un amore tossico, ma secondo me non è questa la sede per approfondire questa vicenda: meriterebbe uno spazio più grande una storia così”.

Il suo personaggio è anche cinefilo, lei è così anche nella vita?

“Sì! Un po’ per mestiere, un po’ perché mi è sempre piaciuto. Guardo tantissimi film, anche se non rétro: mi piace molto il cinema di oggi”.

Con chi le piacerebbe lavorare?

“Mi piace tantissimo Pedro Almodovar. Tra gli italiani, sicuramente Matteo Garrone e Paolo Sorrentino”.

Ha detto di non voler lavorare più su progetti teen dopo “Skam”, come mai?

“Io ho fatto anche un altro progetto teen, ‘Sotto il sole di Riccione”, un film Netflix. Lo accettai prima del boom di ‘Skam’. Dopo quei due progetti mi sono ripromessa di aver già dato con quel genere. Ho deciso di non approcciarmi al mondo teen nonostante le tantissime proposte: in Italia quando vedono che funzioni su una cosa provano a buttarti ovunque. Mi sono arrivate proposte per quasi tutti i progetti teen da ‘Skam’ in poi (ride, ndr). La mia strategia è stata quella di fare l’opposto: allontanarsi dal mondo teen e non accettare più alcun ruolo al di sotto dei 25 anni. Basta con i drammi adolescenziali, anche perché sono cresciuta e non riesco ad identificarmi con quei problemi. Ho 25 anni e non so più che dire a quel mondo, non riesco a entrare in empatia con quei drammi. Farei fatica a recitare, sento di aver dato tutto a quel mondo lì: voglio confrontarmi con il mondo adulto e raccontare storie più grandi”.

“Skam” ha tracciato un solco, soprattutto presso il pubblico più giovane. Perché questo exploit?

“Il teen drama in Italia non esisteva. ‘Skam’ ha creato un precedente nella narrativa seriale italiana, i ragazzi ne avevano bisogno. Prima guardavano solo storie norvegesi o americane. Io avrei voluto ‘Skam’ quando avevo 16 anni: ti puoi ritrovare in un linguaggio tuo e puoi darti tante risposte a tante domande, si parla di sessualità e di tanti altri argomenti”.

C’è stata una critica o una maldicenza che le ha fatto particolarmente male?

“Critiche a me per fortuna mai, semmai ai film. Ho fatto un film che non è stato molto apprezzato dalla critica e ci sono rimasta parecchio male”.

Come vive il rapporto con il successo?

“Io cerco di vivere la mia vita esattamente come la vivevo prima, cerco di non pensarci troppo. Sono stata fortunata perché il mio successo è stato molto graduale. Ho girato ‘Skam’ tantissimi anni fa e la serie ha avuto successo dopo tre-quattro anni, piano piano. Ho avuto la possibilità di abituarmi al successo, non è stato uno choc. Dentro di me non è cambiato nulla, all’esterno è cambiato qualcosa. Quando vado in giro mi riconoscono: all’inizio è simpatico e divertente, ma dopo un po’ diventa strano. Non è che mi dia fastidio, assolutamente, ma se tu non cambi dentro e cambia tutto fuori è davvero particolare”.

Le dà un po’ fastidio essere identificata “come quella di Skam”?

“No, perché per fortuna non vengo identificata così. La critica e gli addetti ai lavori non mi valutano ‘come quella di Skam’, perché conoscono la carriera che ho fatto. Nella sfera dei ragazzi, magari, sì. Ma è normale, perché mi hanno visto in ‘Skam’ e magari solo in un altro film. Ma anche io per me Alessandra Mastronardi è ‘quella dei Cesaroni’, nonostante abbia fatto una carriera meravigliosa anche all’estero (ride, ndr). Purtroppo quando fai personaggi così iconici non te li scrolli mai, ma è una cosa bella: non mi lamento”.

Che rapporto ha con la sensualità?

“Non ho mai messo in mostra il lato sexy nella vita pubblica, perché penso di non averlo (ride, ndr). Non è una delle mie chiavi più funzionanti. Nella vita privata, poi, uno fa quello che vuole. Ma la sensualità non è una delle mie skills. A scuola di recitazione per me era una tragedia dover fare le scene con un personaggio sensuale. Ma piano piano, anche grazie alla mia insegnante Gisella Burinato, ci sono riuscita e anche crescendo sono migliorata e va molto meglio. Ma sia chiaro, non sono una di quelle che posta il culo su Instagram. La femminilità è un’arma che so di possedere, ma che tendenzialmente non uso. La recitazione mi ha aiutato tantissimo da questo punto di vista: io pensavo di avere un blocco, non mi sentivo sexy ed accattivante, ma facendolo per gioco e per finta mi sono sciolta”.

Cosa ne pensa del politicamente corretto, ormai dilagante in Italia?

“Secondo me serviva uno scossone. C’erano discorsi molto patriarcali, di retaggio di cultura passata, c’era poco rispetto per tante identità di genere, ma anche per le donne. L’italiano medio non ha i guanti bianchi del rispetto quando parla. Ma io sono sempre per le mezze misure: a volte si esagera anche dal lato opposto. A volte il politicamente corretto è un po’ troppo. Ma sono contenta di questa ondata di presa di coscienza”.

La rivoluzione femminile è in atto, il #MeToo ha cambiato qualcosa. A che punto siamo?

“Io ho iniziato la mia carriera poco prima della nascita del #MeToo. Ricordo che ai provini erano tutti un po’ terrorizzati. Credo che la mia generazione sia stata salvata dal #MeToo, siamo state salvaguardate da chi ha denunciato. A me non è mai capitato di imbattermi in casi di molestie. Per quanto riguarda la rivoluzione femminile, parlo solo della film industry, non posso parlare di altri settori perché non mi compete: ora c’è molto più spazio per le donne nel mondo del cinema. Si sta muovendo qualcosa, ma c’è tanto da fare. Anche a livello di ruoli, vengono scritte tante storie al maschile, mentre i ruoli delle donne sono a volte stereotipati. Spesso ci fanno fare le amanti o le mogli, mai le donne. Ma dei passi in avanti li noto: acquisiamo sempre più potere, ma dobbiamo arrivare alla parità”.

Che rapporto ha con la fede?

“Non lo so ancora. Non l’ho ancora capito. Io ho frequentato abbastanza le chiese, andavo a catechismo ma solo perché mi piacevano i ragazzetti (ride, ndr). Ho capito che l’ambiente non mi piace, ma continuo a pensare che ci sia un’entità, un qualcosa. Ci sono delle energie che muovono il mondo, c’è un destino, c’è qualcosa che mi protegge, ma non so se sia identificato con Dio o con altro”.

Quali sono i suoi progetti futuri?

“Al Festival di Montecarlo verrà presentato il film ‘Una

boccata d’aria’, con Aldo Baglio e Lucia Ocone. Poi uscirà un nuovo film su Netflix e, infine, a maggio inizieranno le riprese del nuovo film di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, reciterò insieme a Claudia Gerini e Stefano Fresi”.

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