"La mia talpa per battere la retorica da lockdown"

Una fiaba contemporanea sulla nostra capacità di reagire all'imprevisto. Incluso il Coronavirus

"La mia talpa per battere la retorica da lockdown"

Prima di ogni cosa va detto che Diario di una talpa di Paola Mastrocola (La nave di Teseo, pagg. 202, euro 18) non è un libro sul lockdown, né tantomeno sul virus. Certo di quei giorni si parla, ma come «modello di talpitudine» cui siamo stati costretti tutti, per cui il diario del sottosuolo diventa d'obbligo per esprimerne l'antiretorica. Il libro, completato da disegni dell'autrice in stile Saul Steinberg, è una favola contemporanea sulla nostra reattività all'imprevisto, l'ironico resoconto di come un'emergenza possa farsi surreale nel momento in cui non se ne accettano supinamente le regole. D'altra parte, come dice la protagonista: «La grandezza o piccolezza delle cose dipende dagli occhi che uno ha». Il che, detto da una talpa, assume forma di supremo assioma.

Proviamo a commentarlo, questo diario, a partire dalle sue frasi più anticonvenzionali: «Quel che voglio dire è solo che viviamo all'oscuro. Chi può dirlo meglio di una talpa?».

«Non avevo nessunissima intenzione di scrivere un libro riguardo una situazione così enorme. Me ne stavo buona buona nella tana. Perché eravamo talpe: l'animale che c'è, ma non si vede e a me la talpa piace molto. Così mi è venuta l'idea e ci ho preso gusto».

«La vita appartata è una scelta, e funziona soltanto se si alterna a momenti di vita sociale», è scritto nel diario.

«Siamo animali sociali. La solitudine è positiva solo se la scegliamo. Una giornata piena di incontri con gli altri mi fa venire l'ansia. Il lockdown però era una costrizione e ho patito sofferenza».

La talpa aggiunge: «Non dico che dovremmo trasgredire gli ordini. Almeno il diritto di non dirci felici e contenti».

«Proprio così. Ho percepito, invece, una celebrazione delle nostre nuove virtù: Oh, come siamo bravi: facciamo la pasta in casa, leggiamo libri, stiamo raccolti. Oppure peggio, Riscopriamo noi stessi: espressione terribile. Tutta questa retorica era inopportuna, fuori luogo».

La sua talpa ribelle scrive nel diario: «È piuttosto irritante che adesso facciano appello alle nostre risorse, ci esortino all'isolamento, e ci reputino colpevoli se scalpitiamo per uscire. Risorse ne abbiamo, ma non illimitate».

«Potevamo camminare entro duecento metri. Dovevamo avere una meta precisa e autocertificata. La distruzione del passeggiare: non ci era più concesso andare a zonzo, ci avrebbero fermati e multati. La vita finalizzata ai bisogni, insomma. Ma le nostre azioni più belle non hanno un fine».

La talpa non è complottista, ma diffidente sì: «Esistono altri numeri, che nessuno ci dice: i numeri occulti. Fantasmatici, inquietanti».

«Siamo stati e siamo appesi ai numeri, ai dati, ci abbiamo creduto. A un certo punto ci hanno detto di moltiplicare per venti. Ma perché non per quaranta? Per non dire del frastuono degli esperti. Chissà se qualcuno sa davvero la verità: chiuderci in casa era la cosa più semplice. Però c'erano anche altre strade, forse potevano proteggerci di più. E darci dei medici a domicilio».

La talpa distingue l'umanità in Inutili e Indispensabili.

«Si sono fermati gli Inutili. Gli Indispensabili, hanno continuato a vivere. Commessi, negozianti farmacisti: siamo diventati dipendenti da loro. Lavori meravigliosi, invece, sono diventati inutili: architetti, ingegneri che cosa ce ne facevamo? Meglio un negoziante di frutta e verdura. E poi gli Inutili Perenni, gli artisti, quelli di cui non si occupa mai nessuno».

Parliamo di cultura o meglio di letteratura. Scrive la talpa: «Mai, mai abbiamo rammendato calzini, prima! E ora facciamo di tutto, purché si tratti di fare. Ma leggere, no».

«Io in quei mesi ho letto pochissimo e ho letto male. La lettura, così come la scrittura, avviene in tempi neutri, in tempi pacati, dove la vita scorre nel suo tran tran. Per reagire alla chiusura e all'immobilità cui eravamo costretti avevamo invece solo voglia di fare cose manuali: pulire, aggiustare, dipingere, piantare, scavare. La vita spirituale, che avrebbe dovuto essere la più naturale, l'abbiamo allontanata. La paura muove la superficie, non il profondo. Le persone in prigione leggono perché non hanno paura di ammalarsi. Ci vuole il mare calmo, per leggere».

La talpa ha visto però del romanticismo, in tutto questo: «Ci ameremo per iscritto».

«Ho sempre amato i poeti provenzali, che hanno esaltato l'amore da lontano, impossibile da vivere nel concreto. Lì si è tutta la nostra letteratura occidentale: la poesia nasce perché ti manca una persona. La talpa si è concessa una visione surreale: Ci metteremo tutti a scrivere poesie d'amore, nelle nostre separate e parallele gallerie. Non faremo altro».

E poi tanta rabbia, a tratti comica, contro la decrescita infelice: «Prenotare anche gli ossobuchi? Dovrei sapere quando ne avrò voglia? Ho cambiato macellaio».

«L'episodio mi è realmente accaduto. Vede, io non posso prenotare.

L'idea di prenotazione è al di là delle mie facoltà, prevede una vita troppo triste, troppo brutta. Non solo devo prevedere quando mi farà piacere andare a teatro e cenare con gli amici al ristorante, ma anche quando mangerò ossobuchi?».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica