Ci sono stati tempi in cui ai bambini era consentito dire la verità, perché il non essere ancora giunti all'età adulta poteva garantire l'impunità del potere e l'indulgenza degli adulti. Come ai matti o ai buffoni nel teatro di Shakespeare, come a Holden Caufield nel romanzo di Salinger. Logico dunque che l'arte dei fumetti puntasse a unire la libertà con l'innocenza e così Mafalda, impertinente ragazzina cui non piaceva la minestra, «metafora di tutto ciò che si vuole imporre con la forza», lingua lunga e sguardo vivace, poteva esprimere le sue idee a proposito della guerra in Vietnam, battersi contro il razzismo, sposare la causa delle donne e amare i Beatles.
Ieri se ne andato il suo papà, il disegnatore argentino Quino, morto a 88 anni nella sua Buenos Aires. Una lunga carriera che si identifica per buona parte col suo irriverente personaggio, anzi ne è persino prigioniera. Mafalda nasce per caso: nel 1963 Quino riceve una commissione da un'azienda di elettrodomestici per promuovere una nuova lavatrice, ma la proposta non convince, salvo ricomparire due anni dopo come striscia satirica sul settimanale Primera Plana e quindi, dal 1965, su El Mundo. Il successo cresce in fretta con le edizioni in Sud America, addirittura in Cina, quindi in Italia dove è pubblicata per la prima volta nel 1968 in un'antologia di fumetti per Feltrinelli, quindi dal 1970 su Paese Sera. Si intitolava Mafalda la contestataria il volume interamente dedicato a lei, con prefazione di Umberto Eco che la paragonò ai Peanuts di Charlie Schultz e almeno quanto a impatto non aveva torto.
Faceva ridere la sua irriverenza e pensare le sue domande, mai banali, sul senso della vita,. Idealista e ingenua come solo un bambino può essere. A quel punto le ci voleva una famiglia (piuttosto normale), la mamma Raquel, il papà Angel, il fratellino Guillermo, gli amici, Felipe, Manolito, Susanita. Poi nel 1973 Quino si stanca, decide che l'epopea di Mafalda può finire, salvo ricomparire a sostegno di qualche causa umanitaria o per prendere una posizione politica.
Quino, peraltro, era il soprannome di Joaquin Salvador Lavado Tejon, nato a Mendoza nel 1932, fin dagli anni '50 determinato a trovar lavoro come illustratore, dopo aver studiato alla scuola d'arte. Lasciata Mafalda, Quino continua l'attività di illustratore satirico senza però trovare un'invenzione di ugual forza. In aperta opposizione al regime di Videla, lascia l'Argentina e si trasferisce a Milano dove resterà fino a pochi anni fa.
E l'Italia sarà a lungo la sua seconda patria. Nel 1977 vince il Dattero d'oro al Festival dell'umorismo di Bordighera. Fino al 1999 ha pubblicato su El Pais, nel 2010 riceve a Parigi la nomina a Cavaliere dell'Ordine delle arti e delle lettere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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