Il volantino recita: «Uomini, lottate contro il regime terroristico dei cani rossi che deportano i vostri figli e distruggono la vostra vita familiare». Firmato: «Il direttivo». È l'agosto del 1952, e a comporre «Il direttivo» sono alcuni liceali di Cluj, la vecchia capitale della Transilvania, in Romania. Fra loro ce n'è uno particolarmente su di giri, tanto da tenere nascosta sotto il maglione una baionetta, e da dirsi pronto a usarla. Si chiama Bodor Ádám, con il cognome prima del nome, all'ungherese, perché lui fa parte della minoranza ungherese, e in Romania si sente doppiamente infoibato. I sovietici occupanti ovviamente non gradiscono l'alzata di cresta dei galletti, ma delegano alla polizia locale, la Securitate, il compito di impartire una sonora lezione. Arrestati, i giovani sono processati mesi dopo, sotto le pesanti accuse di «cospirazione contro lo Stato e diffusione di stampa sovversiva». Prendono tutti cinque anni di galera, poi ridotti a tre.
Fino a qui abbiamo un classico esempio di crudeltà di regime nei confronti dei suoi oppositori. Ma ecco l'altra faccia della vicenda, quella che dello stesso regime ci mostra il lato grottesco, se non paradossale. Il padre di uno dei ribelli, di professione pompiere, è anche una specie di genio dilettante della botanica, e vince il Premio Statale in materia. È un tipo sveglio, e tenta di cogliere la palla al balzo. Si rivolge niente meno che al segretario generale del partito, Gheorghe Gheorghiu-Dej, facendogli presente che non sarebbe bello premiare il papà di un condannato... È un azzardo, una sfida camuffata da servilismo, è come gettare in aria una moneta... Uscirà testa o croce? Esce croce: il partito tiene più alla forma che alla sostanza, mette una croce sul caso e i ragazzi se la cavano con un solo anno al gabbio. Ma un anno è un'eternità, se ne hai alle spalle soltanto sedici. Per Bodor Ádám, che il mese scorso ne ha compiuti 83, quell'eternità non è ancora finita.
Dopo la disavventura giovanile, Bodor ha fatto l'operaio metallurgico, si è laureato in Teologia protestante, ha lavorato in una copisteria di giorno e scritto racconti di notte, decidendo infine di darsi totalmente alla letteratura. Dall'82, lasciata la Transilvania, vive a Budapest. Ma la sua lontana terra contesa, violentata come una bella donna e con le vesti strappate, la troviamo, invecchiata e con il volto segnato da un pesante trucco narrativo, nelle uniche sue opere finora tradotte in italiano. Sinistra körzet uscì a Budapest nel 1992, e sette anni dopo da noi con il titolo letterale Il distretto di Sinistra (Edizioni e/o, traduzione di Marinella D'Alessandro). Sono, come dice il sottotitolo, Capitoli di un romanzo. Non un romanzo con un inizio e una fine, ma capitoli di un ipotetico romanzo. Infatti, se li leggiamo tutti e 15 separatamente dagli altri, valgono magicamente come distillati di romanzo a se stanti, ognuno come un hortus conclusus dove i protagonisti ricorrono e si danno il cambio sulla scena, il paesaggio subisce la dittatura delle stagioni e dei loro colori e, soprattutto, c'è sempre un confine mutevole e immateriale che vuole separare d'ufficio il nativo dallo straniero, imporre dall'alto un po' d'ordine fra ucraini e ruteni, romeni e ungheresi, ebrei e armeni, turchi e tedeschi, polacchi e serbi... L'opera si apre con queste parole: «Due settimane prima di morire, il colonnello Borcan mi portò con sé in perlustrazione su una delle alture brulle del distretto forestale di Dobrin». Avvertiamo già che il passato remoto contiene un futuro prossimo: un futuro di morte.
Verhovina madarai, letteralmente Gli uccelli di Verhovina, edito ora dal Saggiatore con il titolo troppo leggerino e dall'inappropriato retrogusto favolistico di Boscomatto (pagg. 307, euro 22, traduzione di Mariarosaria Sciglitano), risale al 2011 e conserva lo stesso impianto. Anche qui sull'esordio si staglia un'ombra funesta: «Due settimane prima che venisse arrestato, il brigadiere Anatol Korkodus, mio padre adottivo, mi aveva regalato una motosega Stihl nuova di zecca». Anche qui i capitoli (che sono 13) vivono in autonomia come minoranze etniche. E anche qui il potere è il cattivo genius loci che pianta nel terreno i paletti che chiunque capiti sotto la sua giurisdizione deve rispettare, in vita e anche nell'Oltretomba.
In Il distretto di Sinistra (Sinistra è il nome del fiume che bagna la zona) Bodor utilizza la malattia come simbolo dell'impurità che ogni vero regime proclama di voler eliminare. È il «raffreddore tunguso», proveniente dall'Estremo oriente, un'epidemia annunciata dall'arrivo degli «uccelli dalla coda di seta». E in Boscomatto introduce un altro elemento esogeno, i ragazzi provenienti dal carcere correzionale di Monor Gledin: anche loro devono esser messi in quarantena, prima di avere contatti con i locali... In entrambi i libri c'è un «io» narrante che a tratti si defila: in Il distretto di Sinistra gli viene attribuito, con tanto di targhetta metallica, il nome fittizio di «Andrej Bodor» (perché i suoi documenti sono spariti), in Boscomatto è «Adam». Più chiaro di così, il nostro autore non avrebbe potuto essere, nel certificare l'autobiografismo che la sua arte deforma e traveste oscillando fra raggelante orrore e sorprendente ironia.
Nel primo libro compare un solo riferimento che colloca il tempo della narrazione alla fine degli anni '80 del Novecento. Anche nel secondo libro c'è un solo riferimento temporale, quando si cita incidentalmente il «ventunesimo secolo». Come a dire che, nella memoria di chi scrive e ancor più nella sua percezione del mondo attuale la caduta del Muro di Berlino non ha cambiato molto le cose...
Insomma, le vite parallele del Distretto di Sinistra e di Boscomatto è come se componessero una saga in cui, come nelle antiche norrene, penetrano temi e personaggi venuti da fuori. Da una parte l'allevamento degli orsi cui gli uomini offrono come tane le gallerie della ferrovia dismessa e che alimentano con frutti di bosco e montoni congelati, dall'altra la sorveglianza delle acque termali dal pestifero odore che tutto permea. Da una parte gli alpini che «si prendono cura del popolo» e dall'altra il «procuratore sanitario» Damasskin Nikolsky che libera dalla gabbia un branco di volpi. Da una parte la guerra civile che vede opposti «burattinai» e «commedianti», dall'altra lo straniero Gusty incaricato di fare un servizio fotografico sulla Verhovina.
E, ovunque, indimenticabili figure che sembrano uscite da Freaks, il film del 1932 di Tod Browning in cui i fenomeni da baraccone di un circo non recitano, ma si limitano a trascinare le loro tristi vite. Bodor le ritrae dal vivo oscillando fra empatia e crudeltà. Come fece Hieronymus Bosch dipingendo Il giardino delle delizie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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