“The Northman”: l’Amleto diventa un’epopea vichinga intrisa di sangue

Tra barbarica violenza, fanatismi religiosi e riferimenti mitologici, Eggers riporta la storia al suo contesto primitivo, rischiando di annegare la propria cifra autoriale nell’esagerazione smodata

“The Northman”: l’Amleto diventa un’epopea vichinga intrisa di sangue

The Northman, il nuovo film di Robert Eggers, è un banco di prova per il regista classe 1983 che ha già dato alle sale due opere di assoluto pregio e autorialità come The Witch e The Lighthouse.

Del resto, con a disposizione un budget di novanta milioni di dollari da impiegare nella realizzazione di un titolo destinato ad un vasto pubblico, mantenere la propria cifra stilistica è una scommessa difficile da vincere.

Come se non bastasse, “The Northman” prende una delle sinossi più note, la storia di vendetta del principe vichingo Amleth, ma la riporta al contesto originale, non solo antecedente di qualche secolo ma molto più primitivo e violento della versione di Shakespeare. Il film si collega infatti direttamente al racconto popolare scandinavo che ispirò il celebre drammaturgo inglese: quello ad opera di Saxo Grammaticus, religioso e storico medievale danese del 1200.

Il risultato sono due ore e venti minuti in cui saghe islandesi e miti norreni fanno da cornice a un’avventura sanguinaria e visivamente mozzafiato.

Nell’895 Re Aurvandil (Ethan Howke) viene crudelmente assassinato dal fratello Fjölnir (Claes Bang) sotto gli occhi del figlio Amleth, che fugge sconvolto non senza prima assistere anche al rapimento della madre (Nicole Kidman), destinata a divenire sposa dell’usurpatore. Il ragazzino è creduto morto, cresce invece in una tribù vichinga assai selvaggia. Una volta divenuto uomo, Amleth (Alexander Skarsgård) intende tenere fede al suo giuramento di vendicare il padre, salvare la madre e uccidere lo zio, un vero mantra per lui. Durante la razzia di un villaggio sente nominare Fjölnir come destinatario di alcuni schiavi, decide quindi di fingersi uno di loro. Qui incontra Olga della Foresta di Betulle (Anya Taylor-Joy), prigioniera di origini slave che pare in grado di comunicare con Madre Terra. Assieme a lei escogiterà un piano per regolare i conti col passato.

Eggers scrive la sceneggiatura insieme a Sjón Sigurdsson, poeta islandese (nonché paroliere di Björk, qui nei panni di una singolare sacerdotessa) e coinvolge nella sua stesura professori universitari e storici. Evidente l’accuratezza della ricostruzione, sia ambientale che culturale.

“The Northman” è un’esperienza cinematografica di grandissimo impatto, sicuramente la più completa ad oggi per chi voglia esplorare gli aspetti selvaggi e affascinanti della cultura vichinga.

L’intreccio narrativo è un brulicante ensemble di suggestioni, simbolismi e dettagli storici.

Il mito, la magia e il misticismo sfumano l’uno nell’altro, così come elementi folkloristici si accompagnano ora alla dimensione onirica ora al più crudo iperrealismo.

Solo che alla lunga le violenze sulle donne, i saccheggi, i versi animaleschi e la brutalità delirante vanno a delineare un’epica della macelleria. In nome del Destino si compiono atrocità immonde e le vittime si sentono legittimate da visioni febbricitanti a trasformarsi in carnefici.

Le interpretazioni sopra le righe e l’estro stilistico talvolta ai confini col grottesco rendono l’opera via via meno incisiva perché fagocitata dalla propria eccessività.

Sarà lo spettatore a recepire “The Northman” in base alla propria sensibilità: ci sarà chi lo troverà corroborante e chi raccapricciante, così

come ci sarà chi apprezzerà i combattimenti come fossero antichi gruppi scultorei e chi vedrà in loro la più bieca espressione della bestialità umana.

In ogni caso siamo di fronte ad un film che non può lasciare indifferenti.

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