Il pianto (di rabbia) greco di Christos Ikonomou

Naufraghi della crisi alla deriva su un'isola dell'Egeo. Fra Dostoevskij, Gogol' e Sofocle

Daniele Abbiati

È passato un anno dal referendum greco, da quel «no», quell'«óchi» che nelle intenzioni di un popolo fiero di tutto, compresi i propri errori, avrebbe dovuto funzionare come il quasi omonimo antinfiammatorio. «No» al piano di salvataggio dei creditori, «no» all'Ue, «no» all'euro: 61,3 contro 38,7, risposta secca, inequivocabile. Eppure la grave infiammazione persiste, anche se non compare più sulle prime (né sulle dodicesime, né sulle tredicesime...) pagine dei giornali. La disoccupazione galoppa come i cavalli del pelide Achille che trascinavano il cadavere di Ettore, le imprese falliscono come tanti Sisifo sotto il peso di un masso chiamato recessione e chi viene ricoverato in ospedale deve portarsi le lenzuola pulite da casa, come se fossero miracolosi velli d'oro in grado di guarire le ferite.

La Grecia del prima, del durante e del dopo quell'«óchi» urlato con drammatiche voci da baccanti parla per bocca di Christos Ikonomou, nato ad Atene in piena dittatura dei colonnelli, nel 1970, e oggi coccolato dalle coscienze sporche di democrazie che aspirano a essere «compiute» e invece sono soltanto abborracciate. La periferia dell'eurozona, siano i quartieri degradati della capitale o le destinazioni della neo emigrazione interna come alcune isole (ovviamente non quelle ben note ai vacanzieri gaudenti), sono il pane quotidiano, intinto nell'ouzo che dà alla testa, dei racconti di Ikonomou. Racconti che s'inseriscono nel filone letterario della decadenza, etimologicamente vicino ma di fatto agli antipodi di quello del decadentismo estetizzante. Vi ritroviamo le anime morte di Gogol', gli umiliati e offesi di Dostoevskij, le case desolate di Dickens, gli ammazzatoi di Zola.

Dopo Qualcosa capiterà, vedrai, uscito da Editori internazionali riuniti nel 2012 e ora riproposto da Elliot (pagg. 157, euro 13,50), questa seconda casa propone Dal mare verrà ogni bene (pagg. 124, euro 14,50, traduzione, ottima come per la precedente raccolta, di Alberto Gabrieli). E se nei sedici racconti del primo volume lo scenario era l'Atene del XXI secolo adolescente ma già depravato, fra bande di teppisti, pensionati in fila di notte per ottenere un letto al Policlinico, ingiunzioni di pagamento, gente che s'infila nei cassonetti della spazzatura per essere riciclata come i rifiuti, in queste quattro storie i protagonisti, naufraghi della crisi, approdano in un'anonima isola dell'Egeo.

Ma questa, commentano, è una tana di «ratti», è un «rattistan»: corruzione, abiezione, violenza, disperazione battono la costa come furiose mareggiate. E le grotte dove qualcuno cerca una via di fuga diventano le porte di un nuovo Ade che trasforma i vivi in morti. Lázaros, ad esempio, vi si cala alla ricerca di suo figlio Petros. E intanto gli parla alla maniera di un corifeo di Sofocle, dandoci il senso di una tragedia moderna: «L'orgoglio è un albero dalle radici marce, un soffio di vento, ed è caduto. Ci vuole amore. Devi amare il tuo paese, essergli affezionato, questo conta.

E dato che noi non l'abbiamo mai amato davvero questo paese, è arrivato il momento di odiarlo davvero. Questo è successo alla fine. Perché il finto amore esiste, mentre non esiste il finto odio».

Forse la Grecia deve ripartire da qui, da un sincero, sano, e in fondo ottimista e costruttivo, odio-amore per se stessa.

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