Pino Insegno: "La vita non è un film. Non usate scorciatoie"

Quattro chiacchiere con Pino Insegno sulla sua vita e sulla biografia appena uscita: "La vita non è un film" (Giunti)

Pino Insegno: "La vita non è un film. Non usate scorciatoie"

La vita non è un film”. Non ci sono stacchi. Siamo costretti a vivere tutto il nostro presente. Nei film no. Si incontra una ragazza in discoteca, c’è uno scambio di sguardi, uno stacco e ci si ritrova magari già sposati e in attesa di un figlio. Questo non succede nella vita. Bene che vada la ragazza è fidanzata, non ci degna di uno sguardo e se accetta il nostro invito ad essere riaccompagnata a casa, abita almeno a 100 chilometri di distanza.

Una realtà, questa, raccontata in maniera egregia e soprattutto divertentissima nel libro di Pino Insegno, La vita non è un film (Giunti). Una una biografia in cui, come si diceva nelle pubblicità dei vecchi film, “si ride tantissimo”, ma non solo. Leggendo le numerose pagine che ripercorrono la vita di questo nostro talento italiano, attore, doppiatore, filantropo e molto altro ancora, si assapora anche quella profondità che ci permette di rivedere attraverso la sua, anche un po’ delle nostre vite. Le inevitabili porte chiuse, i no o quei dolori che sembrano insormontabili, ma si appianano man mano che il tempo passa. È di questo, ma anche di molto altro, che ci ritroviamo a parlare proprio con lui.

Ho iniziato a leggere il suo libro sicura che mi sarei molto divertita, ma non mi aspettavo che mi avrebbe fatto così riflettere sulla vita...

“È bello perché in effetti è inaspettato. Lo considero anche di formazione, con i no che diventano sì e viceversa. Ho voluto raccontarmi in maniera diversa e imprevedibile”.

Come ha avuto l’idea?

“È nato tutto da uno spettacolo teatrale che si chiamava 58 sfumature di Pino. Sul palco oltre a me, c’era anche un altro attore che alla fine si scopre essere la mia parte ludica. Alla fine c’è una soluzione scenica molto importante, che mi ha fatto venire l'idea di scrivere il libro. Ne ho parlato con Bompiani e Giunti con cui ho pubblicato molti audiolibri. L’idea è piaciuta e così mi sono avventurato in questo progetto, che è anche un audiolibro. Basta inquadrare un QR code nella seconda pagine del libro, e si può scaricare Ho pensato ad esempio ai non vedenti o a chi non ha la possibilità di leggere, è una cosa che mi è piaciuto molto fare”.

Tornando al libro, soprattutto nella prima parte della sua vita, ha ricevuto parecchi no. Quali di questi le ha fatto più male?

“Tutti i no sono stati durissimi perché mi hanno precluso la possibilità di andare avanti in determinati campi. Quando ero piccolo pensavo che sarei diventato una stella del calcio. Ho giocato in serie B e C, e visto che ero bravo non pensavo certo di smettere. Non immaginavo però che già la vita nascondeva i raccomandati e le persone di malaffare. Però grazie alle amicizie come quella di Roberto (Ciufoli ndr) e Francesca (Draghetti ndr), con cui abbiamo creato l’Allegra Brigata, ho avuto la forza di diventare un leader, e arrivare dove siamo arrivati. Certo quel no mi ha fatto male, così come quello del Centro Sperimentale di cinematografia. Ma anche quello mi ha dato la forza di andare avanti e di diventare ad esempio un formatore. Sono più di venti che insegno la comunicazione verbale e non. Ho una cattedra alla Business School della Luiss, e anche se non l’ho mai detto, sono anche diventato Commendatore della Repubblica per meriti speciali. Credo che in tutto questo, quei no mi hanno aiutato e indirizzato verso quello che sono ora”.

Che meriti speciali ha avuto per diventare Commendatore della Repubblica?

“Preferisco che non si sappia”

Non lo scriviamo?

“Si può anche scrivere, poi se qualcuno vuole indagare lo può fare. Sono cose cose grandi, importanti. Detesto chi si vanta 'One shot and go' di cose che io porto avanti da trent' anni. Lo sa soltanto la gente per cui ho combattuto e combatto ancora”.

Lei che è uno dei più grandi doppiatori italiani ha avuto no anche in quell’ambito?

“Un paio di direttrici del doppiaggio mi avevano proprio detto: 'Tu non farai mai questo mestiere'. Così ho iniziato dal porno, che era un modo per entrare in quell’ambiente chiuso. All’epoca per i doppiatori c’era solo il cinema, ed era appannaggio dei grandi nomi”.

Su questo punto ci sarebbero tante domande da fare, anche di facile ironia, quella che mi viene in mente però, è quanto sia difficile doppiare un attore porno...

“Ogni volta che finivo una sessione ero sfinito per la stanchezza fisica e psicologia. Se ansimi a vuoto per 40 secondi, vai in iperventilazione non è proprio una cosa semplice”.

Quando scrive che ha doppiato John Holmes (uno dei più iconici attori porno al mondo ndr) o che è "un portatore sano di colite", riesce a far ridere moltissimo, ma in realtà c’è anche un’altra parte di lei molto ben descritta, in cui mostra la sua precisione, forse la sua pignoleria. Come riesce a convivere con entrambe?

“Bene, un po’ come Gollum e Smeagol del Signore degli Anelli. Ci sono sempre queste parti contrapposte in ognuno di noi. Dipende solo dall’uso che ne facciamo. Bisogna saper gestire il bene, averlo vicino, ma conoscere anche il male e controllarlo. Io ci convivo in questo modo. Ad esempio cerco di non arrabiarmi. A volte è impossibile soprattutto quando vedo le persone che non meritano, che prendono le scorciatoie. Però devo stare attento, perché la rabbia ti fa implodere. Per questo cerco di trasformarla in un leprotto”.

In che senso?

“Come i leprotti che vengono messi davanti ai cani da caccia per dargli l’andatura. Creo questa sorta di sfida dicendo: 'Ti supererò'. Me lo pongo come obiettivo. Ne parlavo con Mogol qualche giorno fa. Se Lucio Battisti fosse nato oggi e fosse andato ad un talent lo avrebbero cacciato. Stessa cosa per il primo Vasco Rossi. Questo con loro non è successo perché prima si investiva sulle persone. Dico sempre ai ragazzi di dare nella vita anche le cosiddette 'capocciate' perché il rischio di vincere un talent è una scorciatoia che ti fa conoscere solo la vittoria e quando poi arriva la sconfitta è bruttissimo, però in questo la nostra attuale società non dà la possibilità a questi giovani di evolvere. Bisognerebbe aprire delle scuole di formazione importanti, per fare in modo che i grandi possano aiutare i piccoli a crescere".

Ha chiamato il suo libro “La vita non è un film”, vorrei capire se lo dice con malinconia, o per dire: “Meno male che non lo è”?

“Direi entrambe. C’è malinconia perché non è facile affrontare quotidianamente la vita. Ho avuto la fortuna di veder nascere le radio, la televisione, ma adesso la crescita è vertiginosa e si dà a chiunque la possibilità di decidere per gli altri. Gli influencer mi fanno sorridere. Dico sempre: 'C’era uno che si chiamava Gesù e aveva solo 12 follower, di cui uno ha anche abbandonato il gruppo alla fine. Guarda quello che ha fatto'. Con tutto il rispetto per quelli che hanno 2, 3 milioni di follower, ma alla fine vendi un paio di magliette. Se fai uno spettacolo a teatro chi viene a vederti?”.

Crede che ci sia poca professionalità?

“Penso che più la gente è brava, meglio è per tutti. Più gli attori sono bravi, più si va al cinema o a teatro. Io non sono invidioso di quelli bravi, ma degli incapaci che rovinano il mestiere. Basta guardare le fiction che si fanno ora. Nel 60% dei casi neanche le parole si capiscono. Ed è un peccato. Noi italiani abbiamo insegnato al mondo a fare cinema, teatro e musica e ora i Coreani da noi fanno da padroni, perché sono bravi e ti accorgi che hanno costruito qualcosa che funziona. Ma mi chiedo, noi italiani non siamo capaci di farlo? Noi che abbiamo costruito le scenografie per Cleopatra, Ben Hour. Sono molto nazionalista e mi dispiace che ci siamo dimenticati tutto questo”.

Ci sarà un’inversione di tendenza secondo lei? Ci riapproprieremo delle nostre capacità?

“Non lo so, non riusciamo neanche ad appropriarci delle nostre grande bellezze storiche. Ad un certo punto, e lo dico per provocazione, affitterei a qualche direttore artistico Americano tutti i nostri più grandi monumenti storici. Colosseo, Ara Pacis, tutto. Gli direi: 'Guarda che puoi farci tu, perché noi ce li abbiamo e li diamo per scontati. Non è che voglio parlare male degli altri Paesi, ma Parigi sembra che ha miliardi di cose, e ne ha tre, e noi che ne abbiamo miliardi non le valorizziamo”.

Lei ha prestato la sua voce a attori importantissimi. Brad Pitt, Viggo Mortensen, Denzel Washington solo per citarne alcuni, li ha conosciuti?

“Un po’ tutti. Tra i tanti con Viggo Mortensen siamo rimasti buoni amici e ogni volta che viene a Roma troviamo sempre il tempo per un caffè. Sono uomini straordinari molto umili, che potrebbero permettersi di fare i divi, non lo fanno. Una volta ho incontrato Jamie Foxx dopo il doppiaggio di Django Unchained e mi ha detto: 'Thank you mr. Buino'. Ha sbagliato il mio nome, ma vuoi mettere, era Jamie Foxx”.

Lei che nella vita ha fatto veramente di tutto, c’è ancora qualcosa che le piacerebbe fare?

“È vero, ho fatto tanto, e farò ancora tanto.

Non mi sono fermato di fronte a niente. Quello che vorrei è continuare a stupirmi e a stupire. Proseguire con questo mestiere tutta la vita in punta dei piedi, rimanendo sempre al servizio della gente che mi permette di farlo”.

La vita non è un film di Pino Insegno

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