La politica e il "destino" di decidere

La politica e il "destino" di decidere

Un confronto fra l'idea liberale e l'ideologia nazista, rappresentata dal decisionismo di Carl Schmitt, è nell'analisi di Salvatore Valitutti che Liberilibri ripropone: La politica come destino (pagg. 66, euro 15). È nota la tesi di fondo del pensatore tedesco sul problema fondamentale del comando politico: «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Cosa si deve intendere per «stato di eccezione»? Una situazione estrema, che si sottrae a ogni modello generalizzante, ma rende palese un elemento formale prettamente giuridico: la decisione, appunto. Questa ha valore se è incondizionata e se acquista un carattere ultimativo, oltre cui segue l'azione volta a creare un nuovo ordine politico. Liberandosi da ogni vincolo normativo, diventa assoluta in senso proprio. Essa sola, in quanto processo di una volontà determinata, e in quanto autofondata, ha la capacità e il diritto di creare ex nihilo un nuovo diritto, la cui «forza giuridica» non può essere derivata da regole precedenti. In altri termini, la fonte originaria di tutto il diritto è l'autorità di una decisione finale. Ne consegue che non è importante come si decide, ma chi decide.

Schmitt rivendica, a fronte della cultura giuridica liberale, la necessità di un potere in grado di imporsi come assoluto sotto la forma di un carattere allo stesso tempo monocratico e dittatoriale. Per Schmitt lo «stato di eccezione» impone la fine dell'identità tra diritto e legge, perché le norme legislative non possono decidere quando questo «stato di eccezione» esiste, prevedendo in anticipo le misure da prendere, né sono in grado di affrontarlo. Solo la decisione senza se e senza ma rende possibile costituire uno Stato forte e coeso. Schmitt si situa all'opposto del liberalismo, che richiede la necessità di limitare il potere di chi comanda, dato che la democrazia liberale si delinea come un complesso di regole procedurali che hanno la funzione di salvaguardare i diritti e far rispettare i doveri di tutti i partecipanti alla vita politica: qui infatti, all'opposto di quanto sostiene il giurista tedesco, sono decisive le regole, non i contenuti. Ciò comporta l'esistenza di un'opinione pubblica libera di manifestarsi e ciò può avvenire solo se sono garantite la libertà di pensiero, parola, stampa e religione; quindi in una società liberale. La democrazia liberale si fonda su una concezione pluralistica in grado di garantire l'universale rispetto di tutte le opinioni offrendo a ogni partecipante la stessa possibilità di esprimersi, nella legittima dialettica fra maggioranza e minoranza. Pertanto l'unica democrazia possibile è quella rappresentativa, parlamentare e costituzionale. La dialettica fra maggioranza e minoranza vive attraverso la pluralità delle forze politiche, strumento essenziale per la formazione della volontà pubblica.

In conclusione, l'orientamento liberale si basa sul buon senso di un equilibrio, che contempla le ragioni diverse delle parti in lotta.

Il liberalismo regola il conflitto, ma non lo elimina. Di qui la consapevolezza circa l'estrema fragilità e precarietà della democrazia liberale, la cui realizzazione richiede un continuo aggiustamento in sintonia con il mutamento dei tempi.

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