Pontiggia, il maestro invisibile dell'arte di scrivere (e leggere)

Dopo un lungo iter, Erba intitola la biblioteca civica al "suo" illustre figlio, fra i grandi autori del nostro '900

Pontiggia, il maestro invisibile dell'arte di scrivere (e leggere)

A quasi vent'anni dalla morte, dopo 15 anni di tentativi andati a vuoto, la cittadina comasca di Erba, grazie alla giunta di centrodestra guidata da Veronica Airoldi (lunga gavetta in provincia tra le fila di Alleanza Nazionale, oggi alla guida di una lista civica, ma, stando ai bene informati già in odor di candidatura nazionale, probabilmente nelle fila della Lega) decide di intitolare la propria biblioteca comunale al suo concittadino più illustre, lo scrittore, critico letterario e consulente editoriale Giuseppe Pontiggia (1934-2003).

Nato a Como nel 1934, Pontiggia trascorse buona parte della propria infanzia nella cittadina alto-brianzola insieme al fratello maggiore Giampietro (più conosciuto col nom de plume di Giampiero Neri, poeta) e al cugino Ezio Frigerio,diventato scenografo di fama internazionale.

Gli anni giovanili, trascorsi inizialmente nella casa di proprietà dei nonni (nella frazione di Incasate di Erba, il cui campanello reca ancora nome e cognome dello scrittore) e poi nella centralissima abitazione di via Volta 2 (dove nel maggio 2006 è stata posta una targa commemorativa), e l'intera vita di Pontiggia, sono costellati di numerosi lutti.

Il padre dello scrittore, infatti, Ugo Pontiggia (quadro del Banco Ambrosiano, e già «luogotenente» locale del PNF) venne ucciso, in circostanze mai del tutto chiarite, nel tardo pomeriggio del 12 novembre 1943 da due giovani partigiani, forse venuti per sequestrarlo (echi dell'episodio possono essere rinvenuti nella figura di Pinzauti Livio, uno dei protagonisti di Vite di uomini non illustri). Con lui morì un amico, Angelo Pozzoli. L'omicidio di Ugo Pontiggia scatena un tragico e involontario effetto a catena, in cui vittime e carnefici, come accade spesso nella grande Storia, vanno a confondersi e sovrapporsi. Il primo a farne le spese è l'incolpevole Giancarlo Puecher che - sebbene completamente estraneo ai fatti imputatigli, e grazie ad una incredibile serie di nefaste coincidenze - venne giustiziato alle porte del cimitero di Erba il 21 dicembre 1943; negli anni a seguire la figlia minore del bancario, Elena, sorella di Giuseppe e Giampietro, non riuscendo mai a superare il distacco per la perdita del padre, si toglierà la vita non ancora ventenne. I Pontiggia sono costretti a cambiare aria, e vanno a vivere prima in Liguria, poi a Varese e infine a Milano, dove Giuseppe consegue, a soli 17 anni, il diploma di maturità classica al Liceo Carducci.

Viste le ristrettezze economiche, prima segue le orme del padre e lavora al Credito Italiano (esperienza che confluirà nell'opera d'esordio, La morte in banca, del 1959); nel frattempo termina gli studi e si laurea alla Cattolica di Milano, sotto la guida di Marco Apollonio, con una tesi su Italo Svevo (pubblicata recentemente in volume, nel 2017, col titolo di La lente di Svevo, EDB, a cura dell'infaticabile Daniela Marcheschi).

Il suo primo mentore è Elio Vittorini e, una volta abbandonata la carriera impiegatizia a favore dell'insegnamento, all'inizio degli anni '60 Pontiggia diventa consulente editoriale, prima alla Adelphi (per cui pubblica L'arte della fuga, 1968) e successivamente, per oltre trent'anni, in Mondadori.

Nel 1963 si sposa con Lucia Magnocavallo, da cui avrà, nel 1969, il figlio Andrea.

Se la sua produzione narrativa è pluripremiata, arcinota (Pontiggia vinse il Premio Strega nel 1989 con La grande sera; il Premio Campiello nel 2001 con il romanzo Nati due volte) e costantemente ripubblicata, meno conosciute sono l'attività saggistica (si pensi al recentissimo I classici in prima persona, Mondadori 2020, a cura di Ivano Dionigi), quella legata all'insegnamento della scrittura (Per scrivere bene imparate a nuotare, Mondadori 2020 e il notevolissimo La letteratura e le cose essenziali che ci riguardano, trascrizione di tre anni di conversazioni con Rossana Dedola, uscito per Avagliano nel 2013) e la grande influenza che Pontiggia esercitò su intere generazioni di addetti ai lavori: scrittori, editor, direttori editoriali. Fu lui a riscoprire per Adelphi Guido Morselli; fu lui, tra gli altri, a contribuire a lanciare un giovanissimo Aldo Busi; fu sempre Pontiggia, a stoppare, per Mondadori, la pubblicazione de Gli esordi di Antonio Moresco negli anni '90, nonostante il parere favorevole di un allora giovane editor, Antonio Franchini.

Come ricorda lo stesso Franchini, oggi direttore editoriale del marchio Giunti (ma per anni deus ex machina di Mondadori) «Pontiggia è stato un rarissimo caso di consulente che univa alle immense competenze un sano pragmatismo e un vivo senso delle opportunità. Aveva fatto il mestiere editoriale veramente e, pur essendo di un rigore esemplare nel suo personale esercizio dell'arte, capiva le esigenze del mercato e le oscillazioni del gusto. Era uno dei pochi che capiva il senso profondo delle questioni prima che gli esponessi il problema».

Sull'annosa questione dei premi letterari, riferisce Franchini, la posizione di Pontiggia era la seguente: «Ogni premio letterario è, in se stesso, una scemenza, perché mettere gli scrittori in gara l'uno contro l'altro è semplicemente stupido. Ma in ogni opera d'arte, anche la più estrema, c'è una richiesta di consenso. Da questo punto di vista, ogni premio è assolutamente legittimo». Un giudizio ironico, tagliente, intelligente e paradossale, come lo era l'uomo Giuseppe Pontiggia.

Sul creative writing, di cui Pontiggia in Italia fu un precursore, ci sono testimonianze interessantissime. Laura Bosio, scrittrice e storica editor di Guanda, mi raccontò un giorno di avere seguito le lezioni di scrittura creativa di Pontiggia a Milano, al teatro Verdi, definendole «una esperienza fondamentale, decisiva» per la sua formazione.

Lo scrittore Raul Montanari, a sua volta insegnante di scrittura creativa, ricorda Pontiggia raccontando un curioso aneddoto: «Io e Pontiggia non ci siamo mai incontrati di persona, pur abitando a circa tre chilometri in linea d'aria, io in zona McMahon e lui più in centro, ma per dodici anni, a partire dal 1991, lesse tutto quello che avevo pubblicato; la sua scheda di lettura, realizzata per Adelphi e relativa alla mia prima raccolta di racconti - Pontiggia e Luciano Foà erano favorevoli alla pubblicazione, Calasso contrario - fu decisiva per aiutarmi a capire quello che potevo o non potevo chiedere alla mia scrittura».

E la lista di nomi illustri potrebbe continuare a lungo, con Laura Lepri, Roberto Barbolini, Giuseppe Pederiali etc.

La sua imponente biblioteca, costituita da 35mila volumi, i diari, gli scritti giovanili, i quaderni di appunti, le schede di lettura e l'interessantissima corrispondenza privata con l'intero gotha della cultura italiana, sono confluiti, grazie alla Fondazione BEIC, nel fondo «Giuseppe Pontiggia» (i materiali raccolti vanno dal 1947 al 2004, il solo inventario consta di ben 363 pagine).

Tra gli studi più recenti vanno segnalati gli splendidi numeri monografici editi dalla rivista FuoriAsse e il volume Giuseppe Pontiggia: la parola come avventura di Sara Calderoni (Marco Saya Edizioni, 2019).

E il 21 dicembre a Milano, nella sala Grechetto di Palazzo Sormani, si terrà il Terzo Seminario su Giuseppe Pontiggia coordinato da Daniela Marcheschi (curatrice del Meridiano dedicato a Pontiggia) e da Caterina Arcangelo, con interventi di Andrea Carraro, Guido Conti, Giuseppe Lupo, Alessandro Zaccuri e altri.

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