Oggi il 90% degli italiani scrive romanzi. Ma ciò non è certo un segno positivo per la salute di questo genere letterario che negli ultimi secoli ha costituito la colonna vertebrale della formazione delle classi medio-colte in Europa e in quella che chiamiamo civiltà occidentale.
Oggi per molti il romanzo è scivolato fuori dalla via maestra della Letteratura, è una semplice narrazione di qualunque cosa in qualunque linguaggio, un esibizionistico sfogo personale, una collezione di emozioni, cioè di cazzate, una lagna di luoghi comuni massificati. Il romanzo è diventato una merce come un'altra, che troppi producono con la speranza improbabile di far cassa.
Ora, distinguere un autore vero (sono pochissimi) da un dilettante (sono milioni) anche eventualmente di successo, è facile: il secondo non riflette su quello che fa, non si inserisce in nessuna tradizione e genealogia, manovra il linguaggio con beata e spesso becera naturalezza. Il primo, riflette sui suoi strumenti, si interroga su quello che scrive, intesse un dialogo da lontano con i suoi antenati scrittori, è consapevole di stare dentro una lunga storia.
L'ottimo piccolo libro di Luca Doninelli ( Tre lezioni sul Romanzo, Inschibboleth, pagg. 86, euro 10) è l'esempio migliore di cosa vuol dire essere un romanziere vero. Dopo essersi interrogato sul senso della prosa e sulla natura dello scrittore e dello scrivere, l'autore di Le cose semplici tenta una ampia, problematica, personale definizione di romanzo, offre una storia per sintesi di questo genere letterario, dal romanzo illuministico sino al primo Novecento, infine analizza , come libro esemplare, I promessi sposi di Alessandro Manzoni, con intuizioni sorprendenti e geniali. Il romanzo moderno per Doninelli nasce in contrasto con le altezze della poesia, nasce dalla prosaicità, o meglio ancora da quella «prosa del mondo» di cui parlava Hegel, ha a che fare con il retropalco della realtà, affonda nel chiacchiericcio, nel pettegolezzo , nella futilità.
Non so come Doninelli consideri la futilità un termine inviso ai poeti; chi più deliziosamente futile di Gozzano, di Palazzeschi, di Penna, di Zeichen? Per distinguere tra un romanziere e un poeta, più che il grado di futilità, conta il diverso approccio ai rapporti con il linguaggio. Come ha scritto Umberto Eco, per il romanziere vale ancora il vecchio detto di Catone: rem tene, verba sequentur. Per il poeta è il contrario: verba tene, rem sequetur. Per Valéry, la poesia è una prolungata esitazione tra suono e senso. Personalmente, so quante poesie mi sono nate da uno stimolo puramente fonico. E quanto lavoro architettonico su temi , spazi, tempi hanno comportato i miei romanzi.
Dove Doninelli si avvicina di più al cuore del genere romanzo, è quando ne dichiara la contemporaneità e la natura teologica. Bello il racconto della sua scoperta a tredici anni di On the Road di Jack Kerouac. La sua adesione a un libro allora considerato trasgressivo tenuta nascosta a padre e madre, il suo viverlo in un clima rock, alla Woodstock, senza pensare che Kerouac era vissuto una generazione prima e amava, fortunatamente, dico io, il jazz dell'immenso Bird, è il segno di come un romanzo diventa contemporaneo al suo lettore: il quale, come è successo a Doninelli, può rileggerlo e trovarlo retorico e bolso a una età diversa.
Io a tredici anni leggevo ancora Verne e Stevenson, e non ho più avuto occasione di rinnegarli. La natura teologica del romanzo vuole che in ogni personaggio, anche nel più leggero, nel più malvagio, nel più sordido, parli Dio, o parlino gli archetipi di diverse divinità. Ogni personaggio ha un'anima che è portatrice di antichi miti mai spenti. Nella bellissima analisi dei Promessi sposi, Lucia appare a Doninelli una Lucia-Atena, Renzo un Mercurio, un Ermes. Nel saggio, si affaccia la consapevolezza della crisi odierna del romanzo, e del fatto che l'immaginario dei più giovani venga ormai colonizzato dai serial televisivi di qualità come Lost o Game of Thrones. Certo, la stragrande maggioranza dei romanzi che escono in Italia non vale niente rispetto a quelle affascinanti macchine narrative e mitopoietiche.
Ma il romanzo letterario non può chiudersi per reazione nella gabbia dell'esperimento linguistico e abdicare dal suo compito, che è quello di far nascere, nel
linguaggio, generazione dopo generazione, un cosmo: un universo di personaggi, trame, azioni, destini che sia ricerca di conoscenza e contemporaneo anche mentre riscopre la sua genealogia , le sue origini lontane. Mitiche, appunto.
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