Il teatro sul piccolo schermo andava bene nei Sessanta del secolo scorso, quando esistevano le famiglie riunite intorno al tubo catodico e ai giganti del palcoscenico in tivù. Il teatro sul grande schermo, oggi, è un mezzo suicidio, a meno che ti chiami Roman Polanski e giri Carnage di Yasmina Reza, dramma da camera con tre premi Oscar a scannarsi nella stessa stanza.
Però quest'azzardo Gabriele Salvatores, Oscar per Mediterraneo, vuole permetterselo a sale appena riaperte, portando al cinema Comedians (da giovedì, con Rai Cinema), parlatissimo film malinconico basato sull'omonima opera teatrale del britannico Trevor Griffiths. Una vecchia conoscenza, per il regista, che l'aveva già messa in scena nel 1985, al Teatro dell'Elfo di Milano. L'usato sicuro, diciamo. «Non è un film comico, ma un film sul comico», precisa Salvatores, che, invecchiando, ha voglia di qualcosa di buono: «Col passare del tempo le caramelle diminuiscono e non vale la pena perdere tempo a fare cose in cui non credi davvero. Scegli di stare con le persone che ti piacciono e allora sono tornato a rifare Comedians, il cui testo si è rivelato molto più attuale», dice l'autore, che se non altro ha messo Christian De Sica - sempre più bravo, man mano che i chili aumentano nel ruolo a lui confacente d'un talent scout di successo. Un tipo che conosce bene le regole del mestiere comico. Uno: il pubblico è sempre stupido. Due: due risate sono meglio di una. Tre: non è necessario che amiate la gente. Quattro: bisogna sapersi vendere. Lui, infatti, Bernardo Celli, si è venduto bene e il suo decalogo sprezzante funziona, soprattutto in tivù. Non come il rigido regolamento etico di Eddie Barni (Natalino Balasso, autore di cabaret ex Zelig), che insegna a sei aspiranti comici tra essi, figurano bene Ale&Franz, nei ruoli di fratelli-coltelli come strappare risate al pubblico, senza tradire se stessi. E mentre incombe una serata in un club, durante la quale l'esaminatore dovrà scegliere uno di loro per un programma televisivo, tic-tac passa il tempo, scandito come in un dramma brechtiano. Saranno, i sei sfigati, portatori di risate? O tedieranno il pubblico con numeri scemotti, come avviene nel film?
«Serviva uno nazional-popolare, uno dei cinepanettoni e hanno scelto me. D'ora in poi, farò coppia con Salvatores e non con Boldi, che mi fa ridere molto quando dimentica le battute e mi guarda disperato. A Trieste, poi, ristoranti pazzeschi!», spiega De Sica, che per lusingare Salvatores gli vende (metaforicamente) la testa di suo padre. «Gabriele è come un papà: leggerezza e gentilezza. Ha fatto un film di gran classe, molto difficile e lo fa uscire il 10 giugno: un passo importante. Lui sì che sta in mezzo alla strada e racconta il presente. Non come Visconti e papà, che divenuti famosi si chiusero nelle loro case. Luchino disse a mio padre: Ormai, io posso fare Morte a Venezia e tu puoi girare Il giardino dei Finzi Contini». Pare che al posto di Christian dovesse esserci Diego Abatantuono, il quale, però, avrebbe preteso un cachet troppo alto...
Una battuta del film, tuttavia «Un comico non potrà mai federarsi con un politico» potrebbe tornare attuale, mentre la scena nazionale si anima intorno a possibili alleanze parlamentari. «In politica vorrei più padri e meno comici simpatici. Dei padri avremmo tanto bisogno! Datemi un papà!», sospira Salvatores. Intanto, il programma di Eddie Barni inflitto agli aspiranti Comedians prevede caratterizzazioni, imprevisti e scioglilingua: è quel che studiano i politici, più o meno.
Nel futuro di Gabriele si profila Il ritorno di Casanova, basato sull'omonimo racconto dell'austriaco Arthur Schnitzler, con Toni Servillo nei panni del dongiovanni. E ancora malinconia, senilità, tempo che avanza inesorabile. Per girare Comedians, il regista ha seguito lo schema di Clint Eastwood: due settimane di prove prima del film, con la troupe che imparava dove posizionare piedi e macchine e quattro settimane di ripresa. «Le sale non chiuderanno mai: ci passi due ore, senza per forza essere interattivi. Quando sei in sala, sospendi la realtà.
Mentre a casa tua, la realtà è sempre presente», riflette l'autore, lamentandosi del fatto che i nostri attori «passano velocemente da un film all'altro, senza provare». D'altronde, gli attori sono lavoratori come gli altri e, chi più, chi meno, badano in primis alla pecunia e agli ingaggi. La casta dei cast esiste. Altro che andare in scena per amore del pubblico.
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