"Sono le persone, anche non straordinarie, a fare la grande Storia"

Lo storico racconta la nascita dell’"italianità" tra ’800 e ’900 attraverso otto vite esemplari

"Sono le persone, anche non straordinarie, a fare la grande Storia"

S'intitola Otto vite italiane (Marsilio), lo ha scritto lo storico Ernesto Galli della Loggia, e racconta come a fare la differenza, nella Storia, non siano tanto o solo le idee, ma le persone. Capaci, con le loro passioni, le loro sensibilità, i loro limiti o i loro sogni, di «dare forma» al proprio tempo. Una lezione, di uomini e donne di ieri, fondamentale per l'oggi.

Professore: che persone sono quelle di cui racconta la vita? I fratelli Bandiera, Andrea Caffi, Pietro Quaroni, Edda Ciano, Filomena Nitti...

«Uomini e donne che non hanno vissuto davvero da protagonisti la grande Storia, ma hanno costeggiato episodi decisivi nel cammino dell'Italia sulla via della modernità. Le loro sono vicende che dimostrano quanto sia fondamentale il ruolo della personalità nella Storia. E per un Paese che si trova ad attraversare un momento critico, avere come guida Giuseppe Conte o Winston Churchill non è la stessa cosa... La Storia pone le persone davanti a delle scelte, e nei momenti decisivi è importante vedere come il singolo individuo che occupa un posto di rilievo sulla scena pubblica sia capace di reagire: se accetta la sfida, se si impegna a fare valere i suoi sogni e le sue idee... Personaggi come i fratelli Bandiera, rampolli dell'aristocrazia austriaca che si ribellano alla famiglia e nel 1844 muoiono fucilati, a 25 e 34 anni, nel tentativo di sollevare le popolazioni calabresi per l'unificazione nazionale, o come don Enrico Tazzoli, che viene spogliato dei paramenti sacri e fatto martire a Belfiore, nel 1852... ecco, le loro sono vite che si intrecciano con lo spirito del tempo».

Tutti vivono tra il Risorgimento e la Seconda guerra mondiale. È lì che si forma l'italianità?

«È lì che si forma l'Italia moderna, ossia il modo moderno di essere italiani. Sì: alcune caratteristiche fondamentali del carattere nazionale prendono forma in quel momento, quando l'Italia è per l'ultima volta protagonista della grande Storia. Poi ne siamo usciti, e con noi forse anche l'Europa. E, come è facile capire, è la grande Storia che chiama alle scelte decisive... Oggi il massimo che ci viene chiesto è votare per un partito o per l'altro, cosa che non fa una grande differenza. Vivere in pace e in democrazia è semplice; è quando la Storia ci viene addosso in tutta la sua tragedia, mettendoci di fronte a scelte di vita e di morte, che si vede la personalità di uomo».

Come nel Risorgimento.

«Che vide in primo piano i giovani. Lì nasce una sorta di movimento giovanile ante litteram, giovani che vivono l'impegno politico in prima persona: sono i garibaldini, i mazziniani A 40 o 50 anni non si imbraccia un fucile, a venti invece si può sbarcare in Calabria come i fratelli Bandiera, o morire come Goffredo Mameli per difendere la Repubblica Romana. La stessa cosa in qualche modo accadde col fascismo: sono i giovani i veri protagonisti del movimento fascista. Giovinezza, la canzone del Ventennio, non nasce per caso. La prima pattuglia di fascisti che entra alla Camera dei deputati nel 1921 è composta da reduci di guerra, ma la cui età media è la più bassa di quella di tutti gli altri gruppi parlamentari: attorno ai trent'anni. E allo stesso modo i giovani furono i protagonisti della Resistenza... Quando c'è da agire, ci sono i giovani. Quando c'è da amministrare il potere, i vecchi».

Il Risorgimento è caduto nel dimenticatoio. E lo stesso, Lei sostiene, accadrà al fascismo appena non servirà più ad alimentare lo scontro politico nazionale.

«Oggi il fascismo è uno spauracchio. Viene strumentalizzato. È l'arma della fine del mondo cui ricorre la sinistra per mettere fuori gioco la destra, accusandola di volere precipitare l'Italia nuovamente nel fascismo. È una fesseria, aiutata da una dissennata interpretazione storiografica di cui fu maestro Umberto Eco con la sua teorizzazione dell'Ur-fascismo: il fascismo eterno. Vogliono fare credere che il fascismo sia connaturato all'Italia, proseguendo sulla linea gobettiana del fascismo come autobiografia della nazione; e invece non è così. Il fascismo nasce da ragioni contingenti: non è la cartina di tornasole dell'anima eterna italiana».

I personaggi di cui racconta le vite incarnano alcune caratteriste «italiane»: passioni ideali, una certa «cagliostreria», un'intelligenza brillante, indolenza

«Parlare di carattere di un popolo significa generalizzare. E poi Longanesi, Montanelli e Prezzolini hanno già scritto pagine memorabili in materia. Qualcosa però, sì, possiamo azzardarlo. Gli italiani hanno una invidiabile capacità di adattarsi creativamente alle diverse situazioni. Luigi Palma di Cesnola, militare, diplomatico e archeologo che diventa il primo direttore del Metropolitan Museum of Art di New York, o Pietro Quaroni, ambasciatore in sedi cruciali nel dopoguerra, pur diversissimi fra loro, furono entrambi bravissimi ad adeguarsi con creatività a situazioni singolari in cui vennero a trovarsi. Così come Edda Ciano, una donna che fu capace di mettersi pericolosamente in gioco in una situazione tragica. O come Anna Kuliscioff, un'ebrea russa che capisce cosa deve fare per essere italiana, che accetta un rapporto sentimentale con un seduttore seriale come Andrea Costa, lo ama per la sua italianità, affascinata e addolorata, e si rassegna al fatto che i socialisti, dell'uguaglianza delle donne e del suffragio femminile non vogliono saperne. E diventa un'italiana, anzi una milanese, più italiana degli italiani I loro sono grandi insegnamenti, anche se nessuno ha più memoria di loro».

Cosa sta facendo l'Italia della sua memoria?

«Strame. La nostra Storia non ci interessa, complice anche la dissennata politica scolastica che ha ridotto le ore di insegnamento della Storia ed eliminato la Geografia... Siamo un popolo che non legge e non studia. Non sappiamo nulla, siamo un Paese ignorante, con una borghesia ignorante, non so se davvero la più ignorante d'Europa come diceva Pasolini, ma forse sì».

Cosa succede a un Paese che perde la memoria?

«Che non sa più dove andare.

Non ha più la capacità di elaborare il presente e non sa immaginare né costruire un futuro. E infatti i nostri partiti politici non hanno un programma delle cose da fare. Il pensiero è mutilato e si procede per slogan, cercando solo di vincere le prossime elezioni».

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