Tanzi e il crac Parmalat che condannò l'Italia

Su «Crime Investigation» il documentario sulla bancarotta che affondò il nostro capitalismo

Tanzi e il crac Parmalat che condannò l'Italia

C'è un Calisto Tanzi giovane e carismatico la cui faccia tragica, che ricorda Gian Maria Volonte', è però un presagio del futuro disastro. Ci sono Domenico Barilli, il pubblicitario di tante campagne azzeccate, e le coppe vinte da uno scintillante Parma. C'è il volto bruciacchiato ma fedele alla causa di Niki Lauda e ci sono gli aerei che volteggiano sulla Versilia ruggente sganciando confezioni di latte.

L'epica e le lacrime, il boom e la disfatta. Tutto nel perimetro del mondo piccolo di Collecchio, in provincia di Parma. Il documentario in onda questa sera alle 22 su Crime+Investigation, canale 119 di Sky, racconta la saga della Parmalat e del suo patron, uno degli uomini più potenti d'Italia rovinato nella polvere. C'è naturalmente la bancarotta inattesa di un gruppo di 7 miliardi, ma c'è anche il prima, il primo tempo di una storia che al suo incipit si iscrive perfettamente nella cornice del miracolo tricolore. E tutto questo rende ancora più acuto lo smarrimento per quel che è successo, per quel tonfo scontato ma imprevedibile che travolge tutto e tutti come fossimo in una fiction.

Invece, ci spiega Gabriele Romagnoli, narratore straordinario che cuce i diversi frammenti della vicenda, è tutto vero. «Anche se - prosegue lo scrittore - tutto è accaduto a Collecchio e non in una città con i palazzi alti 60 piani».

All'inizio c'è il modesto salumificio di famiglia. E però Tanzi non ama i maiali ma le mucche. E punta verso il business del latte. Siamo negli anni in cui il Paese è in marcia verso il benessere e Collecchio sfrutta il vento che soffia un po' ovunque. Calisto nel corso di un viaggio in Svezia scopre il tetrapack e ha l'intuizione giusta: «Il latte in carta», come lo chiama Barilli. Un cambiamento formidabile che si associa a un'altra rivoluzione: il lancio dell'Uht, il latte che rimane fuori dal frigo senza invecchiare per settimane.

Nel 1973 l'azienda di Collecchio fattura già 20 miliardi di lire e Tanzi sembra arrivato. Le sponsorizzazioni sportive gli garantiscono la popolarità, ma lui non si ferma. Corre e invece inciampa, anche se il tracollo e la fine dell'impero sono lontani. Arrivano gli investimenti sbagliati, come Odeon Tv, e il dramma di Chernobyl è una mazzata per i consumatori.

Inizia un'altra storia senza che pero' finisca la precedente. La verità di Parmalat finisce in un doppiofondo e la combinazione della botola si trova ai Caraibi, in un reticolato di società off shore, di conti fasulli, di operazioni inesistenti, come la vendita del latte alla Cuba di Castro.

Inizia la controepopea, altrettanto straordinaria. La seconda Parmalat, inesistente, galleggia nel vuoto per più dieci anni, un tempo lunghissimo e quasi incredibile, sfuggendo ai radar delle banche, non solo quelle italiane ma di mezzo mondo, dei revisori, della Consob, fra connivenze e intrecci opachi, distrazioni e incredulità. Cosi dal 1990, quando il gruppo è già tutto uno scricchiolio, al 27 dicembre 2003 quando Tanzi finisce in manette.

Il ragioniere di Collecchio, che non ha più soldi ma solo debiti a perdita d'occhio, si salva in prima battuta andando in Borsa e rilancia con il calcio. Con Crespo e Buffon che prendono il posto di Thoeni e di Lauda.

Il documentario mette in fila i successi, i sorrisi, il compiacimento e l'orgoglio ai piani alti della casa che invece è un castello di carte fragilissimo. Infine, lo schianto che non si capisce come non sia avvenuto dieci o dodici anni prima, ma accolto con sgomento da un Paese impreparato. Ricchissime le testimonianze che provano a spiegare l'inspiegabile: un giornalista acuto e documentato come Vittorio Malagutti, il pm Eugenio Fusco, la consulente della procura di Milano Stefania Chiaruttini, l'ufficiale della Guardia di finanza Antonio Martino che condusse l'indagine. E poi, a ricamare sul rapporto complicato e tortuoso fra la raffinata Parma, capitale di un ambizioso ducato, e il suo contado, ecco Mauro Coruzzi in arte Platinette, e Giovanni Salvarani, dell'omonima dinastia di industriali delle cucine.

Non ci sono segreti inconfessabili, ma tanta sofferenza per un primato andato perduto. Sembra un documento di storia, ambientato nell'Italia del Quattrocento, alla vigilia della crisi fatale di una civiltà. Peccato.

Perché se si fosse intervenuti in tempo il finale sarebbe stato un altro. E non il misero balbettio di Calisto Tanzi nell'imminenza di un giudizio che è la condanna al declino per tutto un Paese che si è girato dall'altra parte.

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