Ma poi: la dimora degli Elfi Silvani è Bosco Atro o Boscuro?
Arrischiarsi nella selva linguistica di J.R.R. Tolkien è qualcosa di magico, e pericoloso. Cosa è meglio: leggere Il Signore degli anelli nell'inglese originale? Oppure nella versione ormai «classica» di Vittoria Alliata, all'epoca giovanissima, che firmò la traduzione della prima edizione italiana del romanzo per Astrolabio nel 1967, poi completata e rivista da Quirino Principe nel 1970 da Rusconi? O nella nuova traduzione voluta dal gruppo Bompiani-Giunti, che detiene i diritti di pubblicazione in Italia di Tolkien, affidata a Ottavio Fatica?
La questione è editoriale, filologica, politica, ideologica... E la nuova Guerra dell'Anello - una vicenda molto complessa, su cui il Giornale è intervenuto con un'intervista a Vittoria Alliata nel gennaio 2019 - tra querele, diffide e contratti scaduti si trascina da due anni, da quando Bompiani ha deciso di cambiare la versione della Alliata (impugnata come una bandiera dai «tradizionalisti» di Destra, per quanto valga l'espressione) e preparare una nuova traduzione, consigliata dall'Associazione Italiana Studi Tolkieniani e dai Wu Ming (e già diventata l'arma per sottrarre l'opera di Tolkien a quanti l'hanno strumentalizzata per cinquant'anni, cioè «i fasci», almeno a sentire certa Sinistra, per quanto valga l'espressione). La lotta di liberazione della Terra di Mezzo ai tempi dei blog collettivi.
La prima parte del Signore degli anelli ritradotta da Ottavio Fatica (La compagnia dell'anello) è stata pubblicata a novembre. La seconda (Le due torri) uscirà il 25 marzo e la terza (Il ritorno del re) entro l'estate. Intanto, per via della causa legale tra l'Alliata e l'editore, il gruppo Giunti ha ritirato da tutte le librerie italiane le copie del romanzo con la vecchia traduzione. Risultato: chi oggi volesse leggere il Signore degli anelli, o va in biblioteca, o lo cerca su qualche bancarella, o aspetta che Bompiani completi la trilogia. Insomma: per mesi il libro non si potrà comprare. Una cosa curiosa? Sì, molto. Ma anche una scelta economicamente folle, visto che parliamo di un longseller da almeno 10mila copie all'anno (secondo stime non ufficiali). Adolfo Morganti, uno che ha fatto i Campi Hobbit e ha fondato la casa editrice Il Cerchio di Rimini, su Facebook ha postato un articolo molto interessante sulla questione, dal titolo Quanto costerà al signor Giunti la Guerra dell'Anello?
Ma la vera domanda, per il fandom di Tolkien, in realtà è un'altra. E cioè: meglio la vecchia o la nuova tradizione? Al di là della celebre filastrocca (dove la terzina «Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,/ Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,/ Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende» diventa «Un Anello per trovarli, Uno per vincerli,/ Uno per radunarli e al buio avvincerli/ Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano», un'icona del romanzo sfregiata per sempre, per i puristi), le differenze tra le due versioni sono molte, e non sono sfumature. I rangers, sempre tradotti con «raminghi», diventano «forestali» (e molti hanno gridato all'orrore). United kingdom, il vecchio «Reame unificato», ora è il «Regno riunito». Rivendell, ossia Granburrone, è Valforra. La locanda del Puledro Impennato ha cambiato insegna: si chiama Cavallino inalberato. Chi aveva imparato a conoscere Samvise Gamgee, ora lo deve chiamare Samplicio Gamgee. «Lungacque» è «Acquariva». I «Luoghi lontani» - Far downs adesso sono i «Poggi remoti». E i «Rifugi oscuri» - Grey havens i «Grigi approdi». Mentre «Monte Fato» da oggi è «Monte Fiammeo»...
E non parliamo di toponomastica. Ma di due mondi opposti. Di là l'epica, la Tradizione, l'afflato di Elémire Zolla. Di qua l'«aderenza al testo», la musicalità, le note digitali da questurini dei Wu Ming (gran consigliori dell'intera operazione). Fosse solo filologia. Tutto è politica.
Comunque, al di là degli schieramenti ideologici (Dio ci scampi, e anche il vecchio Professore di Oxford), il punto è che la nuova versione del romanzo ha scatenato la base tolkieniana, cioè i veri lettori. I quali nella Rete e sui social - nelle brevità di un tweet o nella prolissità di un post, ma ci sono anche reading irresistibili su Youtube, segnaliamo Rick DuFer - danno prova da settimane, il tempo di leggere il testo riveduto e corretto da Ottavio Fatica, di una sorprendente competenza linguistico-filologica-medievistica... A leggere giudizi e commenti c'è da imparare non poco: sull'opera di Tolkien, sull'editoria e sulle sovrastrutture culturali... C'è chi si chiede: «Se ne sentiva veramente la necessità?». Chi stigmatizza la nuova versione «rammollita e politically correct». Chi non sa decidersi ma riconosce di essere rimasto affascinato dalla storia della traduzione («Mi ha impressionato di più il fatto che una ragazza di 16 anni abbia tradotto Tolkien e che la sua sia stata l'unica traduzione italiana per 50 anni. Che forza»). Chi riconosce che l'unico consiglio è leggere il romanzo in originale («Nessuna traduzione andrà mai bene e potrà rendere fedelmente in italiano»). Chi non smette di ringraziare Fatica («Non ho mai digerito la vecchia versione, finalmente posso leggere Tolkien come merita»). Chi ammette che la traduzione Alliata-Principe aveva margini di miglioramento, «ma 'sto Fatica dove l'avete trovato?». Chi mette in guardia i nostalgici («Siamo ormai affezionati a vecchi nomi. Ma in questa versione si respira di più quello che voleva il Professore»). Chi sceglie la via media («Stiamo tutti esagerando con le sovraletture: i filofasci a pensare che Tolkien parlasse a loro, i contro-filofasci a pensare che ora si risolverà il problema cancellando il nome della vecchia traduttrice»). E chi la butta sul sovranismo: «Sapendo che Tolkien è stato per anni reclutato dall'estrema destra in Italia, son contento che ci sia una nuova traduzione. Non so se sarà valida, ma Aragorn lo preferisco forestale che Capitone». Dalla «Guardia nazionale» alle ronde anti-padane.
La Terra di Mezzo non è per tutti. Ma è di tutti. Da quando è uscita la «nuova» Compagnia dell'anello molti hanno detto la loro. I Wu Ming, difendendola allo stremo («Ci siamo ripresi Tolkien»). Vanni Santoni, su «La Lettura» del Corriere della sera (il 22 dicembre), promuovendola (con riserva): «La nuova traduzione, pur con i suoi limiti, è superiore alla vecchia. La si legga senza dubbi e paure: si perderà magari un pezzo d'infanzia per strada, ma quel che se ne trarrà sarà un'esperienza più fresca». La vecchia guardia, a partire da Gianfranco De Turris, tolkieniano della primissima ora, bocciandola senza appello: «Non è una operazione filologica, ma squisitamente ideologica che ha l'intento di appiattire il romanzo eliminandone l'afflato epico e sacro anche con la scelta di nuovi nomi, in verità ridicoli, di luoghi e personaggi. La traduzione di Vicky Alliata, rivista nel 2003, è la migliore di quelle possibili perché non essendo totalmente letterale ne interpreta lo spirito». Oronzo Cilli, autore di Tolkien's Library: An Annotated Checklist, con la prefazione di Tom Shippey, massimo studioso di Tolkien, è scettico: «La nuova traduzione di Fatica presenta alcune scelte che ritengo migliorative sulla precedente traduzione dell'Alliata ma anche questioni difficili da comprendere. Si è parlato, tra le novità, del cambio di registro tra le diverse razze e all'interno delle stesse, ma non si comprende il perché usare l'interiezione be' 80 volte e usata dagli hobbit, indistintamente, da Gandalf, Legolas, Aragorn o da Tom Bombadil». E poi c'è chi si è preso tempo. Domenico Dimichino, presidente della Società Tolkieniana Italiana - il quale peraltro ammette di non aver mai sentito la necessità di una nuova traduzione.
.. - ha commissionato uno studio, con analisi del testo riga per riga, a un pool di studiosi, traduttori e madrelingua. La sentenza sarà affidata, il 21 febbraio, alla web-radio tolkeniana La Voce Di Arda. Ascolteremo...
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