È stato uno tra i casi giudiziari più seguiti e controversi di inizio anni 2000 che, inevitabilmente, ha aperto una finestra sul mondo patinato (e oscuro) delle televendite. Da quel momento in poi niente è stato più lo stesso. Rivivere quello che è accaduto dentro e fuori la tv non è stato affatto facile, ma, delle volte, è giusto ricordare per evitare che situazioni del genere si possano ripetere. È con questa idea che Netflix ha realizzato una docu-fiction, in 4 episodi e disponibili dal 21 settembre, sul caso di Wanna Marchi. La regina delle vendite che ha segnato una pagina di storia della tv privata tra gli anni ’80 e ’90 è in prima linea, insieme a sua figlia, per raccontare la versione dei fatti su quel processo – conclusosi nel 2006 – e che ha sconvolto tutta l’opinione pubblica.
Scritta da Alessandro Garramone con la collaborazione di Daniele Bandiera, e diretta da Nicola Prostatore, con il semplice nome di Wanna, il documentario racconta con un tratto fermo e deciso una pagina assai controversa della cultura popolare del nostro paese. Si sofferma sul personaggio della Marchi, sulla sua vita privata, ma più che altro alza il velo su ciò che hanno rappresentato le televendite in un decennio in cui il nuovo medium entrava con prepotenza nelle case di tutti. Wanna è di sicuro un documentario per nulla facile da digerire, tanto da essere stato criticato ancor prima del suo debutto, ma è un prodotto di ottima fattura che non prende le difese di nessuno. Anzi, è capace di raccontare la verità dietro il muro di bugie che sono state erette dalla Marchi e sua figlia.
Un’istantanea dei nostri sogni e desideri
Dalla fine degli anni ’70 fino ai ruggenti 2000. Si comincia dagli inizi per raccontare la storia di Wanna, ragazza di umili origini che grazie al suo temperamento fuori dagli schemi è diventata la teleimbonitrice più amata (e odiata) del nostro paese. Il documentario non si sofferma solo sul caso giudiziario, ma scava a fondo nel passato della Marchi, cercando di trovare una spiegazione alla sua lucida follia. Di fatto, non c’è una motivazione concreta che abbia spinto Wanna e poi sua figlia Stefania a vendere la fortuna in tv. Ma, attraverso le testimonianze e gli atti giudiziari si intuisce come la Marchi ha fatto tutto questo solo per il profumo dei soldi, della fama e per vendere al pubblico a casa un’istantanea dei sogni e dei propri desideri. Nasce come estetista, poi trova il modo di imporsi nella tv privata vendendo una crema dimagrante. Il successo è fulminante e i giornali cominciano a parlare di Wanna come la donna che ha "rivoluzionato" la tv. Gli anni ’80, con i suoi eccessi e la sua finta opulenza esplodono con veemenza, delineando un cotesto sociale in continuo movimento, in cui si crede che tutto può essere possibile. Fino ad arrivare poi al 2002 quando il castello costruito dalla Marchi e dalla Nobile crolla miseramente.
Due donne che non mostrano pietà
Oltre alle testimonianze delle vittime dei raggiri, dei giornalisti e delle persone che hanno conosciuto di persona le televenditrici, Wanna altri non è che una fotografia senza peli sulla lingua della Nobile e della Marchi stessa. Madre e figlia, nonostante le accuse e gli anni scontati in prigione, sono capaci di ribaltare tutte le accuse a loro carico, professando l’estraneità dei fatti. Sono lucide in quel che affermano, forse anche troppo. A ogni domanda rispondono in un modo piccato e raccontano la loro versione dei fatti che, guarda caso, è totalmente diverse dagli attori giudiziari. Le vittime sono loro e non le povere persone che, per ignoranza o perché affascinate dai modi di Wanna, sono cadute nella trappola. Ed è questa la parte più terribile di tutto il documentario. Né la Marchi né la Nobile scendono a patti con nessuno, e non mostrano un minimo di pietà né di risentimento per ciò che hanno causato.
Una ricostruzione senza vinti né vincitori
Dalla release scenica finale, Wanna è un documentario che cattura l’attenzione fin dal primo minuto. Sarà per la presenza della Marchi che è ancora camaleontica o per la ricostruzione minuziosa dei fatti, ma il nuovo progetto tutto italiano di Netflix convince senza e se e senza ma. Ne esce fuori, non solo un ritratto di un’epoca che fu, ma soprattutto una disanima intelligente e barbara di un fatto realmente accaduto. Wanna non prende le parti di nessuno, né degli accusati né delle vittime. Non fa altro che raccontare una storia. Sta al pubblico trarre le conclusioni. Non c’è infatti un vinto e non c’è un vincitore.
Perché vedere il documentario?
4 episodi che scorrono con facilità, costruiti proprio per un binge watching vorace e selvaggio. Piace perché ha un ritmo dinamico e perché alterna le interviste ai filmati di repertorio. È da vedere non solo per conoscere a fondo la verità dietro la truffa all’italiana più mediatica del secolo, ma per riverberare gli usi e costumi degli anni ’80 che ritornano con i loro vizi e le loro (poche) virtù.
Tutto grazie a un servizio di Striscia la Notizia
La storia dietro la fiction è nota a tutti. La Marchi, già conosciuta alla autorità per il fallimento della sua società a inizio anni ’90, torna in auge e più forte che mai con il maestro di vita e il mago Do Nascimento, vendendo in tv numeri fortunati e sali contro il malocchio. Cosa strana, è stata proprio Striscia La Notizia, che nel novembre del 2001, indaga sulle trasmissioni della Marchi dopo una denuncia e, pian piano, scoperchia un pericoloso Vaso di Pandora.
All’epoca, Jimmy Ghione non aveva mai immaginato che questo servizio avrebbe messo in moto la macchina giudiziaria, e che avrebbe messo fine all’impero della Marchi e della Nobile. Si conta che la trasmissione di Canale 5 ha tenuto incollato allo schermo ben 14 milioni di telespettatori a puntata.
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