da Los Angeles
Travestito da Ron Burgundy, il mezzobusto televisivo degli anni '70 da lui reso famoso nella commedia demenziale Anchorman del 2003, il cui seguito uscirà in Italia (a giugno con il sottotitolo Fotti la notizia), il comico americano Will Ferrell sta spopolando sulla tv americana con una serie di buffi spot pubblicitari per la Dodge Durango della Chrysler, ovvero per la Fiat. «Nessuno meglio di un cretino patentato malato di narcisismo e convinto di essere un genio è capace di promuovere grandi prodotti», dice lo schivo Ferrell, 46 anni, che come molti comici «caratteristi» è goffo e inibito quando è se stesso, senza potersi nascondere dietro la maschera di un personaggio. «Abbiamo girato 30 spot di 30 secondi ciascuno semi improvvisati - racconta - in appena due giorni. La Dodge mi ha ispirato, e quando poi ho scoperto che adesso è mezza italiana mi sono sentito proprio un figo».
Commedia totalmente idiota ma brillante, Anchorman 2 segue l'originale dieci dopo, un lasso di tempo giustificato dal fatto che quel primo film godette di un successo tardivo, grazie ai dvd. Snobbato all'estero alla sua uscita, è poco a poco diventato dappertutto un cult della commedia semi-improvvisata, le sue battute sono citatissime («Il 60% delle volte funziona sempre» - «Ho dato un soprannome al mio pene: Ottagono», e così via).
In Achorman 2 Ferrell riprende il ruolo di Burgundy, il pomatato, baffuto, amante dello scotch e del flauto jazz, che da lettore di notizie per una tv locale di San Diego viene retrocesso ad annunciatore di uno show di delfini a Sea World. Ma il caso vuole che Burgundy venga assunto da una nascente cable di sole notizie h24 (è il 1980, l'anno zero della tv via cavo), e si trasferisca a New York col suo team (tra cui Steve Carrell e Paul Rudd) con l'obiettivo di conquistare un'audience nazionale. I mutamenti nel campo dell'informazione però sono tanti, e Burgundy non è uno che sa gestire bene il cambiamento.
Ne abbiamo parlato a Los Angeles con Ferrell, anche autore del copione, passato dal teatro cabaret al Saturday Night Live alla fine degli anni '90, poi al cinema con commedie come Elf, Talladega Nights, Kicking & Screaming. È sposato con tre figli. In America è lui stesso una leggenda vivente. Lui e Burgundy sono diventati quasi indistinguibili. E ci ha spiegato come gli è venuto in mente questo personaggio. Ferrell proviene dalla televisione, e Burgundy è un'estensione dell'amore per questo medium e per gli anni '70. E per chiunque sia inconsapevole della propria mediocrità.
Ma all'epoca (non si scommetteva sul successivo successo) lo studio Dreamworks non sapeva come venderlo... «Esatto - racconta ora -. Erano confusi. Pensavano che fosse una commedia tipo Broadcast News con dentro della satira sui notiziari. Io dicevo loro: Noo! È come un cartone animato live. È tipo Austin Powers. Ma continuavano ad essere confusi».
Invece poi è arrivato il successo e ora un sequel. L'idea è nata da una analisi: i primi anni della CNN o della Fox News, appunto nei primi '80, erano pieni di reporter televisivi presi da stazioni locali in giro per gli Usa. «L'idea che Ron Burgundy si ritrovi all'improvviso su questa grande scena nazionale ci era sembrata irresistibile. Mettiamolo lì e vediamo come se la cava con la direttrice della rete, un'afro-americana, o coi colleghi gay. Non se la cava bene... sfodera una gaffe dopo l'altra. Poveraccio: non sapeva ancora che esistesse una cosa chiamata correttezza politica. Burgundy è un cimelio d'altri tempi».
Nel film appaiono celebrità come Kristen Wiig, Amy Pohler, Kanye West, Jim Carrey e Harrison Ford nel ruolo di uno pseudo Walter Cronkite. Difficile riuscire ad averli... «Mi hanno implorato loro. Tutti adorano Burgundy. Pensi che abbiamo perfino tentato di scritturare il Presidente Obama per un breve cameo. Sarebbe stato il cameo di tutti i camei. Glielo abbiamo chiesto davvero - lo giuro - e lui è stato così cortese da risponderci: Ragazzi, confesso che ho un debole per Burgundy e per gli anni '80, ma è il 2013 e ho altro a cui pensare... tipo la pace nel mondo». Ma si sta già pensando a un terzo Anchorman. «È possibile. Il bello di questi personaggi è che possono permettersi di invecchiare. Non sono eroi d'azione, non patiscono la dittatura della forma fisica.
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