Non era mai successo che dinanzi a una sentenza del giudice sportivo il ministro dello Sport e il presidente della Figc si dividessero su due fronti opposti. È il destino del caso Acerbi che continua a dividere, a fare notizia e probabilmente a segnare un precedente pericolosissimo per i futuri, eventuali episodi di razzismo. Il ministro Andrea Abodi ha volto lo sguardo verso la figura di Juan Jesus con un paio di riflessioni («spero che il giudice abbia ricevuto tutte le informazioni utili; spero che Acerbi sia in pace con la sua coscienza») che hanno suonato come solidali nei confronti del napoletano e non propriamente assolutorie per l'interista. Il numero uno di via Allegri invece ha firmato un giudizio opposto («crediamo ad Acerbi, bravissimo ragazzo, lo riabbraccerò») prima dimenticando Juan Jesus e poi, a microfoni spenti, rimediando alla clamorosa omissione con una sorta di post scriptum verbale («non ci siamo dimenticati di Juan Jesus, siamo solidali») che ha tutto il sapore di una riparazione sbrigativa a un gravissimo errore di comunicazione. Un dirigente illuminato, dinanzi a una materia così delicata e scivolosa, doveva cavarsela così: abbracciando entrambi, Acerbi e Juan Jesus, e preparando - magari a fari spenti - un incontro tra i due per chiudere definitivamente la scomoda vicenda. A testimonianza definitiva dell'imbarazzo procurato dalle parole di Gravina, è arrivata la chiosa finale di Giovanni Malagò, presidente del Coni che ha ripetuto un antico mantra dei suoi predecessori Carraro e Petrucci: «Non c'è niente di più sbagliato per un dirigente che commentare una sentenza!». Per Gravina, a ben vedere, si è trattato di uno spettacolare autogol poiché qualche minuto prima, in consiglio federale, aveva ottenuto il via libera al suo rigoroso piano di riforme economico-finanziarie. Dall'estate del 2025 partiranno nuovi rigorosi criteri per l'iscrizione ai campionati e norme stringenti per il rientro dal deficit pari a quelle dell'Uefa.
Questo successo politico sarà oscurato dallo scivolone su Acerbi, colto al volo dal presidente della Lega di serie A Casini che ha definito «legittima la protesta del Napoli» (rifiuto di indossare il logo sul no al razzismo). Ha un solo merito Gravina: qualche ora dopo, in privato, ha ammesso l'errore.
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