Quando perde le staffe, lo show è assicurato. Basti pensare alla testa sbattuta sul tavolo a Trigoria nel 2016 per una domanda sull'«ambiente» della squadra o ancora allo sfogo fuorionda sulla sua gestione negli anni di calciatori come Totti e Icardi. Nella pancia dello stadio di Lipsia si rivede il Luciano Spalletti rabbioso dopo il traguardo degli ottavi tagliato senza gloria e con una squadra che pare non avere ancora una sua identità.
Il risultato, si dice, inghiotte tutto. Così come quel gol al 98' dello «stellone» Zaccagni, tentativo estremo e riuscito del Ct di cambiare l'inerzia della gara che sta per favorire i croati. La preparazione della sfida decisiva lo ha però macerato così tanto da mandarlo quasi in confusione. Ore e giorni trascorsi a studiare la Croazia, prove continue sul campo sulla difesa a quattro e a tre, soluzione trovata (e testata) alla vigilia del match - un 4-1-4-1 che pareva il giusto compromesso tattico e con la virata dialettica di Spalletti («meno bellezza, più sostanza, serve fare il risultato per non andare a casa») - e poi cambiata qualche ora prima della partita. Un colloquio con i calciatori che gli danno la loro disponibilità e spunta un 3-5-2 inatteso. Ecco che appena si cita la parola «patto», più frutto di un ragionamento di un giornalista che di spifferi di spogliatoio, Spalletti si accende. È indispettito dal fatto che nel gruppo azzurro ci possa essere una talpa e parla di chi vuole male alla Nazionale facendo uscire certe notizie. Alla fine le scuse e il chiarimento telefonico durato circa 10 minuti con il giornalista in questione, grazie anche alla mediazione del presidente Gravina.
Il Ct era infastidito dalle critiche per la possibile uscita prematura dell'Italia dal torneo e sotto assedio nonostante lo scudo eretto dallo stesso Gravina («crediamo nel progetto, siamo ancora una squadra normale»). E così la notte di Lipsia passa dalla gioia dopo il fischio finale di Makkelie al saluto sotto la curva ai tifosi italiani che gli ha aveva richiesto sempre Gravina (un inedito per un selezionatore azzurro dopo una qualificazione alla fase da dentro o fuori) allo sfogo del post partita. Le parole prudenza e patto lo fanno imbestialire e il suo nervosismo, nascosto nella conferenza della vigilia, esplode in maniera roboante e sgradevole.
Di Ct ha ancora poco, pur essendo un ottimo allenatore di club, tra i migliori in Italia. Il rientro nella notte - la Nazionale è arrivata in albergo alle 3.40 - e il giorno libero concesso alla truppa ha lenito la sua rabbia. Si sta rendendo conto dopo quasi dieci mesi di lavoro - e appena due con i calciatori a disposizione - di un materiale umano non all'altezza (forse bisogna risalire al 1986 e al fine ciclo di Bearzot per trovare un gruppo di così basso livello tecnico), il cui peccato di esperienza internazionale si sta rivelando uno scoglio arduo da rimuovere. In più c'è la mancanza di uno schema di gioco di base (Spalletti è bravissimo nel cambiare in corsa, ma servirebbe un'idea più convinta e convincente da cui partire) rende la sua Italia scontata, prevedibile e poco incisiva.
«Se avessi paura, farei un altro mestiere o semplicemente lo spettatore, la qualificazione è meritata», ha continuato Spalletti. Già impegnato a cercare il sostituto di Calafiori che salterà la Svizzera per squalifica. Il granata Buongiorno si candida sin da oggi, magari ora attendiamo uno Spalletti più sereno.
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