«L'unico modo per strappare via Diego dal male era portarlo al campo. Solo il pallone poteva tenerlo lontano da tutto il resto». Sono passati poco più di sei mesi dalla scomparsa del Pibe de Oro, che ha lasciato orfano tutto il mondo del calcio del suo fuoriclasse per eccellenza, e ieri un flusso ininterrotto di ricordi e pensieri ha scandito l'evento streaming «Il Maradona che nessuno conosce», con una lunga chiacchierata tra Ciro Ferrara e il giornalista Tony Damascelli, firma del Giornale. Tra i passaggi più toccanti dell'ex difensore napoletano, andato anche in scena per interpretare un monologo conclusivo con il suo ex compagno di squadra, c'è stato quello legato a un rimorso incancellabile: «Provo un senso di colpa. Oggi gli avrei detto altre parole, all'epoca avevo diciassette anni e mi mancava la personalità per affrontare un'icona simile. Mi sarei dovuto fermare, chiedergli cosa stava succedendo, invece ho questo rammarico per non averlo aiutato, anche in contrapposizione a un aspetto sportivo predominante».
In più c'è un pizzico di rabbia per come è stato trattato mentre si stava spegnendo e per il trattamento riservatogli dalla critica più odiosa: «Nella vita chiunque può sbagliare. Lui si è fatto male da solo, non a qualcun'altro. Era amato perché si è sempre messo a fare da scudo verso gli altri. Noi compagni di squadra sapevamo che perfino in condizioni fisiche non buone lui sarebbe venuto in campo a combattere con noi».
Oltre ai diversi aneddoti legati allo spogliatoio, l'ex difensore di Napoli e Juventus si è concentrato molto sul lato umano del campione, sempre generoso con tutti come in occasione dell'amichevole a fini benefici di Acerra («pagò l'assicurazione ai compagni di tasca propria») e per la battaglia dei «premi ai ragazzi aggregati alla prima squadra, che dovevano essere trattati come i titolari». Unico, ossia Diego Maradona.
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