Il filo azzurro delle vittorie al Tour de France si annoda per la prima volta nel 1924, grazie ad Ottavio Bottecchia. Fece il muratore sino ai 27 anni, poi si diede al ciclismo nel 1923 e il suo inizio fu scoppiettante: quinto al Giro d'Italia e secondo al Tour, dove indossò anche la maglia gialla. La consacrazione arrivò l'anno seguente, quando si aggiudicò la "Grande Boucle" restando in testa dal primo fino all'ultimo giorno di corsa. "Botescià" - così lo chiamavano in terra francese - bissò il successo nel 1925, assurgendo al ruolo di eroe. Appena due anni dopo, 1927, venne trovato in strada agonizzante, non lontano da Gemona del Friuli. Mori 12 giorni più tardi e il suo decesso è avvolto nel mistero. Un contadino dichiarò di averlo pestato a causa di un furto d'uva, ma non mancano altre piste: secondo il prete del luogo fu vittima di un agguato politico, mentre altri sostengono che sia stato ucciso su commissione, come il fratello Giovanni poco prima, per motivi che vanno ricercati nel racket delle scommesse.
Nel 1938 è Gino Bartali ad iscrivere per la prima volta il suo nome nell'albo d'oro del Tour. Piena epoca fascista, in Europa si cominciava a respirare aria di guerra. La premiazione di quel Tour si tenne al "Parco dei Principi" e durante la cerimonia Bartali evitò accuratamente di ringraziare il Duce. La risposta del regime non si fece attendere: l'ordine fu di ignorare lui e il suo prestigioso successo, e quando fece ritorno in Italia non trovò nessuno ad attenderlo alla stazione di Firenze. Ben più forti le connotazioni politiche del secondo successo di Bartali al Tour. Siamo nel primo dopo-guerra, 1948: il 14 Luglio ci fu l'attentato a Togliatti, l'Italia era sull'orlo della guerra civile. De Gasperi telefonò a Bartali, chiedendogli di vincere poiché un suo successo sarebbe servito a distendere gli animi. E il corridore toscano rispose presente: tre vittorie di tappa, maglia gialla finale a Parigi. Al suo rientro in Italia, De Gasperi gli domandò cosa desiderasse come ricompensa:
"Non pagare più le tasse"- fu la risposta di Bartali.
Sono anni d'oro per il ciclismo italiano: nel 1949 ci fu addirittura una doppietta, con Coppi primo e Bartali secondo. Un successo a suo modo storico, visto che Coppi fu il primo a vincere Giro e Tour nello stesso anno, impresa ritenuta impossibile sino ad allora. E che lui fu addirittura in grado di replicare tre anni più tardi, nel 1952, quando prima portò a casa il Giro e poi la corsa francese (nel Tour '52 ci fu il celebre passaggio di borraccia fra Bartali e Coppi). In quel Tour si misero in luce anche Fiorenzo Magni (due vittorie di tappa) e Andrea Carrea, "fedelissimo" di Coppi capace di chiudere la corsa al nono posto.
Cambiano gli interpreti, ma l'Italia continua ad essere protagonista e nel 1960 arrivò un'altra doppietta: primo Nencini, secondo Battistini. Per entrambi fu il primo ed unico podio nella corsa a tappe francese, e Battistini lo conquistò addirittura da debuttante. Nel '65 altri due Azzurri sul podio; insieme a Gimondi, vincitore, giunse terzo Gianni Motta. Sorprendente il risultato di Gimondi, in grado di vincere la gara ciclistica più prestigiosa all'esordio fra i professionisti (esordiente era pure Gianni Motta).
Dopo la vittoria di Gimondi, ci vollero ben 33 anni di attesa prima rivedere un italiano sul gradino più alto del podio. Marco Pantani fece suo il Tour nel 1998, anno in cui conquistò anche il Giro d'Italia. Difficile scordare il suo successo, corredato dall'impresa sotto il diluvio a Le Deux Alpes, quando indossò la maglia gialla e rifilò nove minuti di distacco al rivale Ullrich. E, quasi a tenere annodato il filo dei successi italiani, sul podio parigino del '98 salì Gimondi a rendere il giusto omaggio al suo erede di fronte all'Arc de Triomphe. .
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