Dybala, non è da capitano il finale della storia. E la Signora non cederà

Il gesto di sfida e la bugia dell'amico, cose mai viste tra i bianconeri. L'addio è vicino

Dybala, non è da capitano il finale della storia. E la Signora non cederà

La Juventus è tornata a vincere ma la confusione regna sovrana. Mai nella sua storia si era visto un capitano non esultare dopo un gol e, invece, sfidare la dirigenza con una espressione che non ha bisogno di spiegazioni se non codarde come lo stesso capitano, l'argentino Dybala, ha saputo e voluto fare a fine partita. Mai si era visto un capitano spiegare che la squadra «...gioca male...» e mai si era visto un club arrivare a scadenza di contratto con il proprio capitano. La Juventus vive una situazione ambigua, soprattutto senza la voce autorevole del suo presidente. Le ultime volgari accuse pronunciate da Rocco Comisso nei confronti degli Agnelli, ritenuti motherfuckers, con una traduzione istituzionale della Fiorentina ancora peggiore «ma voleva dire farabutti...», non hanno avuto alcuna reazione, dinanzi a tali parole Andrea Agnelli avrebbe dovuto rispondere a nome di una famiglia che da un secolo ha investito nella squadra di football e non può essere offesa da chi ha scoperto che l'isola del tesoro, quella del football, ha zone poco chiare.

In tale scenario, prosegue il silenzio di Agnelli e di Elkann, in questo tulle si è infilato Paulo Dybala. La richiesta di rinnovo contrattuale, avanzata dal suo procuratore, non si muove da dodici milioni e mezzo, netti e per cinque anni. Al lordo significherebbero 130 milioni, una follia contabile che la Juventus non può permettersi dopo aver assicurato lo stesso salario a De Ligt (è questo il motivo di orgoglio e di riscatto dell'argentino). Maurizio Arrivabene si è appalesato nel mondo del calcio come un elefante in un negozio di cristalleria, non ha usato e non usa ancora mezzi termini, non gli interessa la diplomazia e non si nasconde dentro il canneto come altre figure di vertice del club ma è anche vero che i suoi toni sono rudi e critici in un momento in cui lo stato dell'essere juventino è border line, tra conti pesantissimi, contratti da confermare o rinnovare, difficoltà tecniche della squadra che gioca un calcio noioso, lento, scontato, senza un'idea lineare e le responsabilità sono da distribuire tra campo e allenatore, sul quale la scommessa del presidente è persa.

Il caso Dybala ha una sola soluzione, analoga a quella di Donnarumma o di altri a scadenza, da Calhanoglu a Kessie a Pogba a Rudiger, ma, a differenza del portiere, il capitano della Juventus non ha mercato internazionale e le sue prestazioni, negli ultimi due anni, tra Covid e altro, non hanno lasciato segno. Una situazione analoga toccò a Roberto Baggio, al quale la dirigenza bianconera non prolungò il contratto ma dal quale ricavò venti miliardi nel passaggio al Milan o Zidane che portò centotrenta miliardi nella cessione al Real Madrid.

Dybala andrà via, i sette milioni netti attuali non lo soddisfano, ha lanciato la sfida ma non risulta che i dirigenti della Juventus stiano tremando al pensiero di una separazione. La fascia di capitano non serve soltanto per lo scambio dei gagliardetti, il gesto e l'infantile bugia a giustificazione hanno confermato che la storia si è conclusa. Ma si trascinerà nell'equivoco.

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