Bardonecchia Jafferau - Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Chris Froome. Epica, enfasi e retorica; fiumi di parole e superlativi, dopo chilometri e chilometri di fuga solitaria. Qualcosa di eccezionale, di eroico per dirla con i francesi che lascia senza fiato e senza parole, anche se ne servono in quantità industriale, per raccontare quello che ieri Chris Froome è stato capace di fare.
Al Giro abbiamo vissuto qualcosa di semplicemente pazzesco. Perché a farlo sono stati un corridore e una squadra che hanno fatto del metodo, della programmazione, del calcolo e della telemetria applicata al ciclismo la propria cifra distintiva. Ieri, invece, quando al traguardo mancavano la bellezza di 82 chilometri, Froome ha deciso di lasciarsi guidare dalla follia e dall'istinto. O la va o la spacca, ha aperto il gas e si è librato verso il cielo.
Giornata pazzesca al Giro. Simon Yates è letteralmente naufragato appena è cominciato il Colle delle Finestre, che altro non è stato che teatro naturale sul quale il sudafricano bianco del team Sky, ha mandato in mondovisione la sua impresa da leggenda. Ottanta chilometri in solitaria, per portarsi a casa dopo lo Zoncolan anche il tappone alpino di Bardonecchia, il più duro, con i suoi oltre 4000 metri di dislivello distribuiti in quattro salite. Froome ha mandato tutti al tappeto, rifilando tre minuti a Carapaz secondo, Pinot terzo, Lopez quarto, ma soprattutto Dumoulin quinto, a 3'23''. Disperso Yates, sfinito e finito a oltre mezz'ora di ritardo: 38'51 per la precisione. Formolo il migliore degli italiani (7° a 8'22''); Pozzovivo, undicesimo a 8'29''.
«No, non ho mai fatto nulla del genere in carriera, attaccando da così lontano ha raccontato raggiante e incredula la nuova maglia rosa -. Ma ogni giorno che passa, mi sento sempre meglio. In realtà non ho spinto a tutta, sono stato sempre lì senza superare il limite perché domani (oggi per chi legge, ndr) c'è un'altra tappa molto difficile, piena zeppa di montagna. Sì, sono soddisfatto dei 40 secondi su Dumoulin: la squadra ha fatto un lavoro eccezionale».
Sì, certo, la squadra. Come sempre va ringraziata, ma questa volta è lui che ha fatto qualcosa di mostruoso ed eccezionale, altro che storie. Tra Colle delle Finestre, Sestrière e Jafferau, Froome ha davvero riscritto parte della storia del ciclismo. Ed è probabile che abbia conquistato in maniera definitiva e totale il cuore anche dei tifosi e osservatori più scettici.
«Quando ho attaccato, sapevo che mancava ancora tanto all'arrivo ha spiegato -, ma per vincere questo Giro serviva qualcosa di straordinario, non poteva bastare attendere l'ultima salita, serviva qualcosa di folle. Le gambe erano buone e ho visto che gli altri non stavano bene. L'inizio del Giro per me è stato molto difficile. Ma ho sempre tenuto la barra dritta pensando al finale. Ho pensato che se avessi fatto tutto in maniera corretta sarebbe arrivato il momento giusto. Questo momento è arrivato».
Se vincerà il Giro, perché è bene usare il condizionale, visto come sta andando questa corsa e soprattutto alla luce dell'ultimo tappone alpino in programma oggi (si arriva a Cervinia, ancora con oltre 4 mila metri di dislivello), sarà l'apoteosi.
Una grande corsa vinta da un grandissimo campione, anche se è bene ricordarlo, il britannico è qui nella sua posizione scomodissima e imbarazzante di imputato in attesa di giudizio (positivo al salbutamolo ventolin, un broncoditatore - alla Vuelta; i suoi legali sono impegnati nella difesa), ma visto che i regolamenti gli consentono di esserci e correre, allora applaudiamolo senza esitazioni o imbarazzi: per come ha saputo interpretare e onorare la nostra corsa, lasciandoci come ieri senza fiato. A proposito: passateci del ventolin, please.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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