Giocatori e quarantena: guai da Premier

Molti contro la ripresa. Il capitano del Watford: "Non metto a rischio mio figlio"

Giocatori e quarantena: guai da Premier

Winston Churchill aveva definito l'Unione Sovietica «un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma», ma non avrebbe potuto mai immaginare che tale frase tagliente sarebbe stata, un giorno, adatta ad un periodo della storia britannica: quello attuale. La confusione che dilaga nella vita pubblica, in un mare di dati e studi diversi che si incrociano, è entrata anche nel mondo dello sport, che si prepara a riattivarsi. Ieri, contemporaneamente ai primi rientri in massa di giocatori di Premier League, ecco la notizia di sei positivi tra i 748 giocatori e membri degli staff tecnici a cui erano stati fatti i test tra domenica e lunedì. Appartengono a tre club diversi, di cui non sono stati fatti i nomi, e ora saranno in isolamento per almeno sette giorni.

Agli altri, tra oggi e venerdì, è stato dato il permesso di allenarsi, secondo le regole: le sessioni non devono durare più di un'ora e un quarto, con gruppi di cinque giocatori al massimo, che devono arrivare al campo già vestiti e tornare poi a casa a farsi la doccia. Ma non tutti se la sentono. Nel Watford ad esempio mancherà addirittura il centravanti, capitano e leader, Troy Deeney, uno che normalmente non ha paura di nulla, essendo stato anche in prigione: «Mio figlio ha solo cinque anni ed ha già avuto problemi respiratori, non voglio tornare a casa e metterlo in pericolo. E poi volete dirmi che fino a luglio è pericoloso andare dal barbiere ma ora dovrei saltare senza preoccupazioni in un'area di rigore con altri 19 giocatori?». Sul tema il parere di Jürgen Klopp, l'allenatore del Liverpool. Saggio, realista, determinato, indispettito: «ci sono cose peggiori nella vita che il non diventare campioni, ma sarebbe ingiusto annullare la stagione. Affrontare questa crisi è la cosa più importante ma questo non vuol dire che tutte le questioni meno cruciali debbano contare zero. C'è gente che muore per un virus che nessuno conosceva e chi ci chiede come fate a pensare al calcio in un momento come questo? Ma non è che lo facciamo: è semplicemente naturale prepararsi al dopo, e il dopo è fare in modo che tutti siano protetti. Nel nostro caso, con misure di sicurezza che, come in Germania, renderanno i centri tecnici dei club di Premier League tra i luoghi più sicuri che ci siano».

Perplessità sul ritorno però sono state espresse anche da Sterling e Rooney, e non per nulla nella riunione di lunedì è emersa anche la prospettiva di un isolamento di 14 giorni dei giocatori prima del ritorno alle partite.

In più, pare che il governo si prepari a confermare la quarantena obbligatoria di 15 giorni per chiunque arrivi dall'estero, e senza un'eccezione a questa misura sarebbe impossibile giocare il ritorno di Champions League tra Manchester City e Real Madrid e la disputa del Gran Premio di Silverstone del 19 luglio, dato che le prime due tappe sono previste in Austria il 5 e il 12.

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