Tifoni e fifoni. Ormai non appena si sparge la voce che arriva il Giro, le forze della natura si danno di gomito e prontamente si organizzano per scaricare di tutto sul gruppo.
Nubifragi in Irlanda - e questo non è esattamente un avvenimento imprevedibile -, poi subito temporalone anche sulla prima tappa italiana, a Bari. Ma non un temporale qualunque: proprio negli ultimi chilometri del circuito cittadino, quando ci si avvia alla volata. Tutto questo per dire che effettivamente il Giro 2014 procede controvento tra le intemperie, che questo Giro è complicato, che è rischioso. Però assieme ai tifoni circolano anche molti fifoni. Diciamolo. La sicurezza è un valore costituzionale, nel ciclismo, ma c'è anche un limite alla prudenza. Temendo la pioggia sul traguardo, il gruppo decide di non fare nulla fin dal primo chilometro. Praticamente, una farsa. Come minimo, uno spettacolo deprimente. Chilometri e chilometri con corridori impegnati a tenere assemblee e ad avviare trattative sindacali, il tutto sotto un meteo gradevole e mansueto, zero pioggia e strade asciutte. Per evitare le cadute ipotetiche, il gruppo non esita a cadere sempre più in basso. E a un certo punto tocca il fondo: il Giro d'Italia si trasforma in sottoprodotto del basket, chiamando addirittura il time-out. Teatro dell'assurdo: non pedalano all'asciutto perché temono che più tardi piova.
A seguire, finale inesorabilmente grottesco: la corsa viene (giustamente) neutralizzata all'ultimo giro, quando piove sul serio e si cade sul serio, e così lo sprint diventa una faccenda per pochi intimi. Senza Kittel, ritirato in mattinata per malattia («Mi dispiace tanto, il mio Giro è stato breve ma intenso»), è inevitabilmente uno sprint di serie B. Tra i sopravvissuti, il migliore è il francese Bouhanni, bravo a rimontare tutto e tutti dopo una foratura a pochi chilometri dal traguardo. Per la giovane Italia, ancora e solo un piazzamento, il secondo posto di Nizzolo.
Molto più eccitante della (non)gara, il dopogara. Se possibile, ancora più assurdo. Le vecchie del gruppo, i Petacchi e i Paolini, si premurano di chiarire che proprio non si poteva fare di più. Il direttore generale Mauro Vegni si premura di precisare che la sicurezza prima di tutto. Peccato che i veri interessati alla questione sicurezza, cioè gli sprinter, siano i meno convinti. Il vincitore Bouhanni: «Scivolare fa parte della corsa, quando piove. E' come freddo e neve in montagna». Il nostro Viviani: «Siamo qui a correre in bici, il rischio fa parte del gioco. I velocisti rischiano sempre ».
Parole al vento. Si procede con chiacchiere inconciliabili tra signorine del nuovo ciclismo, che sostanzialmente ormai correrebbero soltanto indoor, però con l'aria condizionata se fa caldo, e talebani della sofferenza umana, per cui il ciclismo è spettacolare solo se si chiude in traumatalogia. Ad un certo punto si vede persino un tizio che versa una bottiglia d'acqua sull'asfalto e prova a sfregare con la scarpa, presumibilmente per dimostrare quanto il fondo possa diventare scivoloso, in realtà per confermare quanto la tv possa diventare idiota, quando ci si mette.
Purtroppo la questione è molto più semplice di quanto la pongano i due partiti. Il penoso spettacolo della Giovinazzo-Bari è vergognoso per un semplicissimo motivo: sarebbe bastato correre normalmente sotto il sole, neutralizzando poi la gara al momento del temporale sulla città. Come si è sempre fatto. Nel caso specifico: il pubblico si sarebbe gustato tre quarti di tappa vera, dopodichè la giuria avrebbe neutralizzato le classifiche negli ultimi chilometri, a temporale effettivo.
Troppo complicato, così? Ragazzi, fate un po' voi. Pare, sembra, si dice che a fine maggio, sulle Alpi, possa fare freddo: cosa facciamo, neutralizziamo il Giro in via precauzionale e procediamo a passo d'uomo, manina manina, da qui allo Zoncolan?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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