I sogni di cristallo di Roland Ratzenberger e quel destino diviso con Senna

Il 30 aprile del 1994 il pilota austriaco muore nelle prove a Imola: meno di ventiquattro ore più tardi lo stesso destino attenderà Ayrton Senna

Roland sorridente ai box
Roland sorridente ai box
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C’era un gioco che faceva sempre con papà Rudolf. Da piccolo, avrà avuto dieci anni scarsi, lasciava che la luce color pesca della grande vetrata di camera gli cadesse sulle spalle. Poi tendeva l’orecchio. Poco distante, giusto a qualche centinaio di metri, si stagliava un’auto officina pronta ad accudire i bolidi più disparati. Lui ascoltava il tramestio delle vetture che facevano la spola. Poi gli si allargava un sorriso e gli occhi iniziavano a scintillare, mentre fissando il padre pronunciava il nome esatto del modello.

Chissà quante volte questa immagine avrò trovato la via per la mente di Rudolf e Margit. Ora che girano la chiave nella toppa, il rimorso è una fitta soverchiante che si inerpica, sherpa maligno, lungo la schiena. Perché in quell’appartamento lì, nel centro di Salisburgo, ci sono premuti tutti i sogni di Roland Ratzenberger. Loro gli avevano detto di no. Che non erano contenti che corresse. Che non l’avrebbero sostenuto. Ora che sfilano accanto a tutti quei trofei appena estratti dagli scatoloni, le lacrime tappezzano i volti fino a farne una pozzanghera.

Lui se le era portate dietro, le chiavi di casa. A Imola, dove correva quel giorno. Le avrebbe lasciate ai genitori a fine giornata, perché andassero a toccare con mano quell’abitazione, sintomo pulsante che aveva avuto ragione. Ce l’aveva fatta con le corse. E adesso si stava pure riconciliando con la famiglia. La vita però tesse trame inafferrabili per mettersi in mezzo.

Aveva iniziato a maneggiare i motori proprio in quell’officina davanti a casa. Prima ciondolando in giro, poi assumendo dimestichezza con le mani. Era nato a Salisburgo il 4 luglio 1960, con quella genetica lì: il ruggito dei cavalli che pettina i pensieri, fino a sedurli. Si era disimpegnato con stile nei campionati locali e aveva anche salito gli scalini del podio partecipando al prestigioso Brands Hatch Formula Ford Festival: un anno secondo, quello dopo primo.

Poi c’era stato il passaggio alla Formula 3 inglese. A dire il vero qui gli addetti ai lavori erano rimasti interdetti. Talentuoso, d’accordo, ma non pronto per il grande salto. Lui aveva continuato a lavorarci, fregandosene dei bollini altrui. “Fesserie, ce la farò”, si ripeteva dentro, mentre i suoi sputavano disapprovazione. Alla fine l’aveva spuntata lui. Nel 1994 era riuscito a firmare un accordo con la neonata scuderia Simtek, vagito del rampante tecnico Nicolas Wirth. La macchina non è certo un granché, ma a 34 anni si sente finalmente felice, realizzato, vivo.

A Interlagos, il debutto, non si qualifica. Si riprende ad Aida, in Giappone, dove strappa l’undicesima posizione. È un sogno di cristallo. Sabato. È il 30 aprile del 1994 a Imola, circuito di San Marino. Non sembra proprio uno di quei giorni in cui potresti morire. Lui sfreccia per le prove. Alla chicane delle Acque minerali però cincischia e commette un errore, uscendo leggermente di pista. Rientra subito, senza però accorgersi di aver compromesso l’ala anteriore.

Il pezzo si stacca alla velocità di 300 km/h, tra le curve Tamburello e Gilles Villeneuve. Roland sbatte dritto contro il muro di contenimento e, dopo sei testacoda, si ferma in mezzo alla pista. La sua figura è inerte. La testa cade sul fianco sinistro, dondolando in modo innaturale. Lo estraggono, praticano un massaggio cardiaco e lo trasportano di corsa all’ospedale Maggiore di Bologna, dove viene dichiarato morto. L’autopsia svelerà in seguito l’ignobile farsa: Ratzenberger è deceduto sul colpo per la frattura della spina dorsale. Una circostanza che avrebbe determinato il sequestro dell’impianto e l’annullamento dell’evento.

Il circo invece continua, spedendo i suoi animali al macello. A nemmeno ventiquattro ore di distanza Ayrton Senna, che era accorso in lacrime in ospedale, infila nell’abitacolo della sua vettura una bandiera austriaca. La sventolerà sul traguardo, dice. Il medico, Sidney Watkins, ha un presentimento. Lo scongiura di non correre. Di rinunciare. Senna non lo ascolta. Poco dopo perderà anche lui la vita alla curva Tamburello.

Al funerale di Roland c’è pochissima gente. Sono tutti volati a San Paolo. Anche sui giornali le aperture sono solo per il pilota brasiliano. A lui spettano i trafiletti. Dopo il terribile weekend il sindacato dei piloti otterrà che il circuito venga messo in sicurezza.

Una vittoria tardiva.

Ogni tanto, ancora oggi, Rudolf si mette di spalle alla vetrata di camera. Lascia che la luce ambrata della sera gli accarezzi le spalle. Chiude gli occhi e tende l’orecchio. Ogni volta indovina la macchina del figlio.

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