Il maniacale Pinto e l'ossessione Italia "Studiata da 36 anni"

Il Ct della Costarica fu stregato dalla partita degli azzurri contro l'Argentina nel 1978 "La conosco come la mia mano"

Il maniacale Pinto e l'ossessione Italia "Studiata da 36 anni"

Li sta studiando alla moviola, uno a uno. Dopo cena, fino a notte, in attesa di domani. In realtà li conosce da sei mesi, da quando seppe che il suo destino si sarebbe incrociato con il loro. Ma anche di più, da sempre. I calciatori italiani. Sono la sua ossessione. «Conosco la squadra italiana come la mia mano», ha rivelato in questi giorni il ct Jorge Luis Pinto ai giornalisti costaricani. Da quando nel '78, fu stregato dagli azzurri ai mondiali. Italia-Argentina fu proprio la partita del colpo di fulmine. Trentasei anni di «osservazione».

Quello che non gli ha offerto il fisico (non supera il metro e sessantacinque di altezza) glielo ha dato il talento per la fatica, la determinazione, la disciplina. Quando arrivò a dirigere il Costarica, molti calciatori si spaventarono perché aveva la fama dell'esigente, del testardo. Lo descrivono come minuzioso, quasi maniacale. «Il calcio è la mia vita, la mia passione, la mia professione e la mia distrazione», ripete quando parla di sè. Cita spesso Josè Mourinho come allenatore di riferimento, per il suo senso «del metodo».

Degli azzurri in particolare, Pinto ha registrato in questi anni statistiche e video. Ha scritto relazioni sui loro movimenti in campo, con e senza palla: «Mi incanta la loro struttura tattica, il disegno». Quella con l'Italia è la partita che sognava da quando iniziò ad allenare ad alto livello nel suo Paese, sei anni dopo Argentina '78. Colombiano come Garcia Marquez, di San Gil, sessantuno anni, fratello della senatrice del Partito Liberale Yolanda Pinto de Gavina, il mito dell'eroe colombiano Josè Galan nel sangue, Pinto si è costruito una carriera con la dedizione e con lo studio. Si trasferì prima in Brasile e poi in Germania, costruendosi un'esperienza di qua e di là dall'Atlantico. La sua prima squadra fu il Club Deportivo Los Milionarios, che iniziò a dirigere nell'84.

I primi anni da ct sempre in Colombia, a Santa Fe. Poi in Perù, tre titoli nazionali. Ancora sempre nei club, ma in Costarica. Da 2004 passa alle squadre nazionali, il Costarica e la Colombia, dove viene esonerato. Dal 2011 torna alla guida del Costarica dopo le dimissioni di Ricardo La Volpe. E ora, professionalmente parlando, si definisce un uomo felice. È arrivato lì dove voleva arrivare, e intende scalare la montagna fino alla vetta: «Ho lottato tutta la vita per andare al Mondiale - ha confessato in questi giorni in Brasile - e oggi l'ho ottenuto, è la lotta di tutta la mia vita».

È il suo momento. Dalla periferia al centro del mondo. Dalla fatica all'assaggio della gloria. L'ora dell'eroe, come il suo Galan, il rivoluzionario colombiano, ucciso dagli spagnoli alla fine del '700, che cita spesso. «Sono stato un uomo onesto, un lavoratore. Essere qui è più della felicità. È la risposta al mio lavoro, allo sforzo e alla dedizione. Lo sapevo che il destino mi avrebbe portato tutto questo. Oggi è arrivato con un gruppo straordinario».

Sta allenando i suoi «Ticos» allo stadio Vila Belmiro di Santos.

Mantiene con loro un rapporto di cuore e rigore. La sera li fa sedere davanti alla televisione per guardare video di tattica e motivazionali. «Le difficoltà fanno crescere», ripete, per renderli tutti, come sogna per se stesso, eroi.

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