Quel giorno di novembre non è mai finito. Dura da un anno e continua a respirare nei ricordi, nelle immagini, nei film. Gli è stato dedicato uno stadio ma resta un teatro vuoto, perché l'assenza non può essere riempita da nulla. Maradona è Napoli, Maradona è Argentina, Maradona è il football, Maradona è lacrime, sofferenza, astuzia, gol, spettacolo, rabbia, droga, una vita precoce, una esistenza feroce come accade con i campioni, anzi i fuoriclasse che appunto sono fuori di qualunque graduatoria. Che altro è questo meraviglioso gioco se non l'invenzione di un artista, il colpo di tacco, il tunnel, il dribbling maramaldo? Maradona è stato il riassunto dei sogni di un qualunque amante, anche se non tifoso, di chi raggiunge l'orgasmo nel gol e Diego è stato il viagra di milioni, dovunque, negli stadi, nelle strade, sui prati verdi e sui campi di terra e fango. Un anno senza di lui è un semplice battito di ciglia eppure è un vuoto enorme che nessun altro riesce a colmare, non può Messi, non certo il rivale Cristiano, nemmeno i giovani Mbappè o Haaland, perché Diego era e resta uno e non ripetibile, come Pelé che ancora resiste nel suo viaggio esclusivo e, insieme, rappresentano un secolo di football, Argentina e Brasile, la musica di sempre.
Diego Armando Maradona, mentre lo pronunciamo lentamente, sembra di ascoltare e immaginare una milonga, danza in tre tempi e il testo della canzone di Paolo Conte: ... e mi avrai verde milonga, che sei stata scritta per me, per la mia sensibilità, per le mie scarpe lucidate, per il mio tempo, per il mio gusto, per tutta la mia stanchezza e la mia guittezza, mi avrai verde milonga inquieta che mi strappi un sorriso di tregua ad ogni accordo mentre fai dannare le mie dita... Una dannazione, questo è il tempo trascorso senza quel ragazzo con i capelli ricciuti, gli occhi di un angelo e l'anima del diavolo, capace di regalare il paradiso dopo essersi inflitto l'inferno. Volano condor sulla sua vita vissuta barbaramente, donne ed eredi più o meno chiari, sanguisughe che non sono ancora soddisfatti di avergli portato via una fetta di vita, offrendogli, da compari, il piacere effimero e malvagio. Il calcio ha avuto bisogno di Maradona, ne ha approfittato e lui si è adagiato, ogni tanto provando a scendere sulle barricate contro un potere nel quale lui stesso gozzovigliava. La sua mano di Dio è diventata fiaba popolare e occasione di un'idea cinematografica che finisce a Hollywood, uno scippo furbastro fu quello ma a pieno titolo dell'autore capace di trasformarlo in un segno divino, dinanzi al quale empi e devoti, tranne gli inglesi, dovettero inchinarsi.
Scrivere di lui è sempre un rischio, scivoli nella celebrazione esaltata, sfiori la beatificazione, non riuscendo mai a narrarlo per quello che era, avendo avuto la fortuna o privilegio di averlo conosciuto, annusato, frequentato, adorato, odiato. Maradona è stato miele per molte iene travestite da api operaie, chi lo ha pianto e ancora si commuove, ne ha fiancheggiato le opere negative, chi, invece, ha cercato di amarlo davvero prova un senso di colpa però tenuto nascosto. Diego è un nome comune diventato un cognome, non c'era bisogno di aggiungere altro, questo urlava la folla al San Paolo, al Camp Nou, alla Bombonera, lo stesso nome mormorava dinanzi al suo feretro coperto di fiori stanchi e di maglie vuote e fotografie bagnate di lacrime e baci, era il corteo silenzioso, era il popolo di Buenos Aires e poi di Napoli.
Diego Armando Maradona è morto triste, solitario y final, abbandonato, forse ucciso e lasciato comunque morire come un altro eroe dello sport, Marco Pantani della cui fine resta il dubbio che un tribunale cercherà di risolvere.
Gli artisti, quelli veri e grandi, dello sport, della musica, del cinema, improvvisamente strappati a noi, si portano appresso il mistero della loro ultima recita. Le parole che affollano Diego, in quest'anno di silenzio, lo rendono ancora più solo e ormai lontano.
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