Quando le nonne ispirano. Una si chiama Vittoria, l'altra si chiama Titta, detta Sprint: sono i due talismani di Filippo Tortu per via di quei nomi rivelatisi qualche giorno fa azzeccatissimi, persino profetici. È questo il curioso destino del velocista brianzolo, campione olimpico nella staffetta 4x100 metri, che anni fa raccontava: «Loro due sono così diverse e così fondamentali per me». Uno dei due satelliti attorno a cui ruota il mondo di Filippo è «la sacra casa» (Tortu dixit) di nonna Titta, in Brianza: «Purtroppo, l'altra nonna la vede poco perché a Roma. Io ho cercato di essere molto presente nella vita dei miei nipoti, di lasciare a loro dei ricordi a cui sono molto legata e che non si cancellano». E questa sarà ricordata anche come l'olimpiade dei nonni: molti gli atleti che hanno dedicato le medaglie a loro.
Signora Titta, quanto si è emozionata l'altra sera al termine della staffetta?
«Siamo tutti in Sardegna nella casa dove passiamo le estati a 5 km dal Golfo Aranci. Prima della gara, nella mia testa mi ero già fatta il filmato di come avrei festeggiato non appena Filippo avesse vinto l'oro, perché io pensavo all'oro. Lo so, in famiglia mi dicono che sono una matta ma è perché sono una persona ottimista di natura. Ed infatti già pensavo ad un bagno nel mare. Ed invece, appena l'Italia ha vinto l'oro ha cominciato a girarmi la testa». E qui interviene Giacomo Tortu, il fratello, che rivela: «Ci siamo spaventati. Ma con un caffè pieno di zucchero è passato tutto». Continua nonna Titta: «È stata una cosa pazzesca. Non piango molto, ma quella cosa lì mi ha fatto piangere. Ho urlato oro, oro, oro. Come se si fosse realizzato quello che pensavo, non ci credevo. Ho pianto di gioia naturalmente. Questa cosa è riuscita a liberarmi, avevo una bomba dentro, era la realizzazione di quello che pensavo nei giorni precedenti. Nonostante vedessi Filippo triste».
Così si spiega il pianto liberatorio del ragazzo?
«Lui è una persona con un carattere molto riflessivo, tranquillo, non lascia trasparire le sue emozioni, sensazioni, però era evidente che aveva un disagio di qualcosa. E io come nonna non metto becco in niente, l'unica cosa che gli dicevo era non mollare, Filippo, non mollare fino alla fine. Non ero io sola. Ho insistito tanto a mandargli messaggi. Io ci credevo. Sapevo che avrebbe potuto riscattarsi in staffetta. Anche se vedevo Filippo in difficoltà dopo l'inverno scorso per via del covid perché per due mesi non si è potuto allenare. È stato difficile rincorrere, anche perché i risultati non arrivavano».
Durante il lockdown è cambiato il suo ruolo di nonna.
«Già, ho dato le chiavi di casa ai miei nipoti. Così Filippo poteva dividersi negli allenamenti tra la casa di Carate Brianza con la piscina, e quella di Costa Lambro, dove un vicino tanto gentile gli ha offerto la sua dimora disabitata con un grande giardino. Tutto questo fatto rispettando le norme anti-Covid».
Nonni falcidiati nella pandemia, nonni figure sempre più importanti in Italia per il loro ruolo nel tessuto familiare. I Giochi li hanno onorati.
«Sì, e io sono contenta che molti atleti abbiano dedicato loro la vittoria, il successo o un risultato importante. I nonni sono una parte fondamentale nella crescita di un bambino, perché aiutano nei momenti di difficoltà dei genitori e sono più dolci perché la vita porta ad essere più dolci. Come la vecchiaia.
Averli onorati su un palcoscenico così importante, e dopo quanto successo in questi tragici mesi, è stato importante. E io spero di aver in piccolissima parte aiutato Filippo a non mollare mai. Non vedo l'ora di abbracciarlo e di stringermi forte a lui. Sono sicura che scoppierò a piangere anche io».
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