Il Milan lo ha già dimenticato. Con l'attacco boom boom del campionato (13 gol fatti) Pippo Inzaghi può permettersi il lusso di rispondere al quesito scontato «hai rimpianti per la partenza di Balotelli?» con una frase che ha il sapore agro-dolce: «È il passato, non ne parliamo più». Lo ha rimosso Roberto Mancini che pure ai tempi di Appiano Gentile fu il suo precettore e grazie ai sigilli del deb - nell'attesa del recupero di Ibrahimovic - mise mano sull'ennesimo scudetto dell'era post-calciopoli. «Quattro anni trascorsi con Balotelli sono abbastanza, mi meraviglio che il Liverpool lo abbia accolto tra le sue fila», la dichiarazione che ha il senso di una stroncatura definitiva, senza possibilità di appello. Lo ha tenuto fuori dai cancelli di Coverciano Leo Bonucci che in Nazionale ha la tendenza ad allargarsi con una frase del tipo: «Se Mario vuole tornare in azzurro con Conte ct, deve cambiare registro».
Nel frattempo il diretto interessato, durante il fine settimana della Nazionale, forse anche per nascondere il dispetto, ha postato su Instagram una foto tenerissima con la figlia Pia a cavalcioni e il cinguettio «Non c'è niente di meglio».
Se il Milan ha fatto la sua scelta e non intende tornare indietro, se Mancini può confessare di non volerne più sapere delle bizze di Mario, sulla Nazionale appena passata da Prandelli a Conte, invece, è opportuno svolgere un ragionamento diverso. Zaza e Immobile, Giovinco, Osvaldo e Destro sono gli iscritti più recenti nell'elenco dei convocati: il ct pugliese, fedele al suo motto, ha inaugurato il nuovo corso azzurro puntando su attaccanti conosciuti, altri da svezzare e qualche talento compatibile con schemi e allenamenti. Ma un ct ha tra i suoi doveri, non scritti nel contratto, anche quello di utilizzare il meglio delle risorse del calcio italiano. E se tra queste, c'è il carattere ribelle e bizzarro di un Balotelli, deve provarci. Non per spirito francescano, intendiamoci. Magari soltanto per orgoglio professionale nel tentativo, nobilissimo, di dimostrare che dove molti autorevoli colleghi hanno fin qui fallito (Mancini, Mourinho, Mancini inglese, Allegri, Seedorf, Prandelli nel club Italia), può riuscire Antonio Conte da Lecce altrimenti detto «capatosta», testa dura.
Non è il caso di lasciarsi influenzare dai primi risultati ottenuti dal club Italia, scanditi da qualche timida luce e alcune ombre (a Palermo contro l'Azerbaigian): la strada che porta all'Europeo prossimo venturo è ancora lunga e piena di curve insidiose. Appena salirà l'asticella tecnica dei rivali, per guadagnare successi e futuro, non basteranno Zaza e nemmeno Immobile, Giovinco e Osvaldo, ma ci sarà forse anche bisogno di quel cavallo matto chiamato Mario Balotelli col quale, intendiamoci, non si deve scendere a patti. Non deve essere Conte a capirlo, il tentativo prandelliano di metterla sulla mozione degli affetti, è già fallito miseramente.
Deve essere Mario, forse impaurito dalla perdita di appeal a livello internazionale, a capire il calcio di Conte e le sue regole. Che valgono più fuori dal campo che in campo dove l'anarchico artista è a volte capace di zittire i suoi numerosi critici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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