Il rammarico più cocente, per la negativa congiuntura tecnica del Gp del Giappone, è che la Ferrari era ancora fortemente competitiva, nella pratica equivalenza dei suoi valori con quelli della British-Mercedes. Preme, perciò, fare un piccolo passo indietro, alle qualifiche, per chiarire questo aspetto teorico, anche se ormai i giochi possono dirsi fatti e contro certe avversità non si combatte.
È vero, è partita in prima fila, grazie alla penalizzazione che ha colpito Bottas; ma quel che non è stato visibile, è che il suo potenziale non era quello indicato dalle graduatorie. Ovvero quello di una terza posizione, allo 0,54 % di distacco dal primato di Hamilton, cioè ai vecchi livelli di Bahrain, Canada, Silverstone e Monza da bagnato, contro quattro pole e tre quasi-pole. No, a Suzuka il distanziamento in Q3 è stato eccessivo, per un piccolo errore di Vettel alle esse, mentre Raikkonen è stato arretrato. Sono stati, invece, i rilievi delle velocità a indicare la preminenza. La velocità da speed-trap, su questa pista, non è la massima assoluta, dopo la Curva 15, ma il top è stato raggiunto dalla macchina di Raikkonen, con 311,6 km/h, contro i 307,9 di Hamilton; 313,6 a 311,1 in S2. E la vettura di Vettel, aerodinamicamente un po' più carica, in favore della motricità, si era imposta in S1, dopo la curva 7, con 291,7 km/h contro 291,4, e ancora in S3 a 276,7 km/h contro 275,9, a inizio del rettilineo.
Grandi doti del Cavallino, schernite da un guaio collaterale.
Non è corretto (non è da ingegneri) dichiarare che è stata la rottura di una candela (rapida sostituzione e tutto torna come nuovo); ma anche certe implicazioni d'iniezione sono altrettanto rare e non ovviabili in pista. Frutto di stress, di gestione da incompetenti e di stanchezza, in un mondiale di questa lunghezza.
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