Enzo Majorca era uno di noi. Amava il Giornale e del Giornale fu collaboratore proprio nei primi mesi della sua avventura, nel 1974, con il suo stile schietto e appassionato. Proprio il 28 settembre 1974 Majorca racconta sulle nostre colonne una delle sue imprese: a Sorrento scende in apnea a 87 metri, e fa suo il record del mondo diventando così ancora più popolare di quanto fosse già. Alla vigilia, quando il tempo burrascoso gli sconsiglia l’impresa scrive per «Il Giornale»: «Pur essendo siciliano mi sono sempre sforzato di non essere superstizioso stavolta però sono anch’io perplesso davanti a quanto sta succedendo. C’è quasi da credere che una forza avversa si voglia frapporre tre me e questi novanta metri che a volte mi sembrano irraggiungibili. Non intendo rinunciare anche per riproporre il problema del mare di Siracusa, una volta splendido e ora ridotto a un misero brodo di cicoria. C’è un mare che muore e nessuno vuole muovere un dito. Salvate Venezia ma dateci una mano per salvare il nostro mare. Per questo non ho voluto effettuare il mio ultimo tentativo a Siracusa ma ho preferito venire a Sorrento dove, intendo ribadirlo una volta per tutte, non ho ricevuto alcun ingaggio, ma soltanto ospitalità per il mio gruppo e mi dispiace che molti altri abbiano sospettato chissà quali guadagni. Non fossi soltanto un modesto rappresentante di medicina mi sarei pagato tutto da me. Non me lo posso permettere».
Il giorno dopo le condizioni del mare sono sempre proibitive, le peggiori possibili, ma Majorca si immerge lo stesso. È un’impresa ai limiti del pazzesco con mare agitatissimo e visibilità quasi nulla, i medici dopo quell’impresa gli vieteranno le immersioni per molto tempo. Dopo due minuti e 36 secondi di apnea Majorca riemerge stravolto, più vicino alla morte che alla vita, gli occhi sbarrati, i muscoli del viso irrigiditi, la bava mista a sangue espulsa in un paio di conati. Ci mette un quarto d’ora prima di riabituarsi a respirare ma il nuovo record del mondo, -87 metri, è suo.
Due giorni dopo affida sempre al Giornale il suo sfogo. E il senso del dramma nell’impresa appena compiuta: «Dopo che la discesa e la risalita erano state perfette, la velocità con cui tornavo in superficie mi ha fatto fuoriuscire dalle narici l’aria che normalmente impedisce l’ingresso all’acqua nell’apparato rinofaringeo e al suo posto è entrata l’acqua. Così inspirando in immersione ho incamerato acqua nei polmoni: da qui la perdita dei senso e la fuoriuscita di schiuma rossastra dalla bocca per la rottura di qualche capillare. Tutto questo ha scatenato un putiferio sull’utilità del record. Non capisco perché non ci si sia comportati alla stessa maniera con le gare di nuoto, con la maratona o con il sollevamento pesi e si sostenga che soltanto le immersioni danneggiano il fisico. Dal 1960 a oggi io, uomo normale e non superuomo, ho temprato il mio fisico negli abissi del mare migliorando il mio primato di 42 metri. Dov’è l’usura, dov’è il danno? Quanto alla pericolosità di certe imprese vorrei ricordare a tanti signori che annualmente, sui circuiti motociclistici e automobilistici, muoiono diversi piloti. Eppure si continua a cor-rere sempre più veloci.
Molti ancora si sono scandalizzati per la pubblicità effettuate durante i miei tentativi, da un’industria di articoli subacquei.
Pur non dovendo giustificazioni a nessuno, io affermo che non sono né plagiato, né venduto, né schiavizzato dal professor Ferraro (proprietario della medesima) il quale, medaglia d’oro al valor militare, mi onora della sua amicizia. Ed io, credendo a certi valori, lo ho autorizzato a reclamizzarmi come meglio ritiene, per quello che ha fatto per tutti noi, tanti anni fa». Una cavaliere d’altri tempo con il senso dell’onore. Ci mancherà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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