Timothy Weah avrebbe potuto giocare nel Milan. Papà George chiamò Paolo Maldini, ma non se ne fece nulla. Pare non ci fosse budget o forse non c'era per Maldini, licenziato di lì a poco. Oggi si può dire che in quei mesi pescò bene la Juventus: 10 milioni, unico acquisto nell'austera estate '23. Un anno forse un po' timido ma soprattutto fuori ruolo, un anno di studio e oggi un prezioso jolly d'attacco, e non un terzino, consapevole del suo valore, con le idee chiare e un già ottimo italiano. Domani Timo torna un'altra volta a S. Siro, la quarta in due stagioni. L'ultima, ha segnato un gol. Domani per la prima volta farà il centravanti della Juve dal primo minuto. Forse atipico, ma non falso. Nello stadio di papà.
I riflettori si sono improvvisamente accesi su di lei. È forse motivo di preoccupazione?
«No, per nulla, anzi mi carica. Sono pronto. Lavoro per questo, per dare sempre il meglio. E il ruolo non mi spaventa, ho giocato tante volte centravanti nel PSG, poi fu Emery a spostarmi esterno, per sfruttare la mia velocità».
Chiariamo: ruolo preferito?
«La fascia sinistra, perché posso rientrare e calciare col destro. Ma gioco dove mi dicono che serve».
Gli almanacchi aiutano: 19 maggio 2018, ultima di campionato e lei gioca per la prima volta titolare nel PSG, da centravanti come si diceva prima. Capitano era Thiago Motta. C'era già sintonia fra voi a quei tempi?
«Io ero un bambino, lui un magnifico centrocampista, un giocatore di un'intelligenza superiore, si poteva immaginare che diventasse un allenatore importante. Chissà lui cosa pensava di me, un giorno magari provo a chiederglielo».
Nel primo anno di Juventus, forse la sua partita migliore è stata proprio quello contro il Milan, al ritorno a Torino. Tutto il tempo a correre dietro al suo amico Leao
«Rafa è un fenomeno, un giocatore fortissimo. Diciamo che da centravanti questa fatica dovrei scamparla!».
A Lille ha conosciuto e giocato anche con Maignan, con cui ha vinto un campionato di Ligue1. E poi è stato anche allenato da Fonseca.
«Mike è il portiere più bravo della Serie A, uno dei migliori al mondo. Con Fonseca ho lavorato bene, ho un buon ricordo di lui. Spero che lui lo abbia di me».
Pulisic e Musah sono ovviamente altri due ragazzi che conosce molto bene. Soprattutto il primo si sta rivelando molto importante per il Milan. Per lui l'Italia è stata una grande occasione di rilancio.
«Christian è un campione, ha grande qualità ed esperienza, normale che facesse bene. La nostra nazionale è molto forte, vogliamo essere la sorpresa del Mondiale e grazie a giocatori come lui possiamo esserlo».
Facciamo un gioco. Potendo togliere un giocatore al Milan, chi sceglierebbe fra Maignan, Leao e Pulisic?
«Uno solo? Tolgo Tijjani Reijnders! Per me è un calciatore eccezionale, un vero equilibratore per la tutta la squadra. Non lo conoscevo, l'ho scoperto in Italia, l'anno scorso. Ha piede, corsa, testa, completo come pochi».
A proposito dell'anno scorso. Com'è cambiata la Juventus?
«Siamo più giovani, ma anche più forti. Abbiamo delle notevoli potenzialità. Dobbiamo lavorare e pensare a fare del nostro meglio, a fine stagione vedremo dove siamo arrivati».
Quest'anno il campionato sembra molto equilibrato. Qual è oggi la sua squadra favorita?
«La Juventus».
Nonostante l'assenza di Bremer per tutta la stagione? Non è una perdita come un'altra, Bremer era un giocatore unico, non solo per voi.
«Credo nella forza di squadra, nel lavoro del gruppo. Gli infortuni sono penalizzanti, ma non saranno decisivi. Tutti a cominciare dall'allenatore sappiamo di dovere dare il 110%, proprio perché ci sono compagni che non possono giocare».
Si può dire che il 4-4 in rimonta contro l'Inter vi ha dato consapevolezza di essere forti?
«Noi siamo la Juventus e sinceramente credo che quel risultato abbia fatto più impressione fuori che dentro lo spogliatoio. La Juventus gioca sempre per vincere e un pareggio, anche contro una squadra forte come l'Inter, è una mezza sconfitta».
A Milano senza Vlahovic. Stavolta il discorso vale soprattutto per lei.
«Vale sempre: per me, per tutti. Certo le mie caratteristiche sono differenti da quelle di Dusan, che è un professionista pazzesco, bravissimo in tutte le cose che fa. Lavora sempre al massimo, dal campo alla palestra».
Uscendo dal calcio, lei è testimonial di UNHCR a sostegno dei rifugiati. Perché questa scelta?
«I miei genitori mi hanno cresciuto avendo la pace e l'amore come valori principali. Ho il simbolo della pace tatuato sul dorso della mano, e non è solo un'idea. Sono contro tutte le guerre, impegnarmi almeno un po' a difesa dei diritti di chi soffre per i conflitti è stato un onore non un impegno».
Secondo lei, l'Italia è più razzista di altri Paesi d'Europa, per esempio della Francia dove lei ha vissuto molti anni?
«In campo sì, purtroppo. Gli stadi italiani sono peggiori. Ricordo bene cosa è capitato a Maignan un anno fa, ma gli episodi sono anche altri, meno conosciuti. Fuori, personalmente non ho mai vissuto esperienze negative, ma io sono visto innanzi tutto come un calciatore».
Timo: un'intera intervista senza una domanda su papà. Sorpreso?
«Un po', ma per me non è mai un problema. Per me è papà, non George Weah. So che è un mito, anche se l'ultima volta che è venuto a Torino, siamo usciti e dei tifosi hanno chiesto il selfie a me e non a lui, erano giovani e non l'avevano riconosciuto (risata). Ci sentiamo sempre, guarda tutte le mie partite insieme con la mamma».
Se segna a San Siro, lo chiama per primo?
«No, prima chiamo la mamma».
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