Questione d'ORGOGLIO

Dopo 173 anni gli inglesi hanno l'occasione di riportare a casa il più antico trofeo di tutti gli sport: la coppa America. Che persero sotto la regina Vittoria

Questione d'ORGOGLIO

«Maestà non vi è secondo» dice un solerte valletto alla regina Vittoria, accomodata sullo yacht reale Victoria and Albert di fronte al Royal Yacht Squadron, mentre racconta cosa ha visto ai Needles, le rocce che salutano i naviganti quando escono dal Solent per buttarsi verso il mare tempestoso. «America is first», nessuno dietro di lei. Poche parole, qualcuno dice non vere, che dal 1851 hanno costruito la leggenda dell'America's Cup. Perfette per descrivere il senso di sfida, e sconfitta per chi perde, della grande regata: un Defender, che detiene il trofeo, un Challenger che cerca di portarglielo via. Una singolar tenzione con suggestioni medievali, quelle dell'Homo Ludens che gioca alla guerra invece di farla. Una sfida che non è più fatta di armature luccicanti, vessilli, cavalli che schiumano di fatica, lance insanguinate ma due barche AC 75 che si sollevano leggere sull'acqua cariche di eroi moderni, intrisi di umanità e tecnologia, al soldo dei potenti del mondo.

Dal 1851 per sollevare al cielo quel trofeo decine di tycoon hanno speso una parte, sembra grande ma di solito è piccola, dei loro patrimoni. La storia del più antico trofeo dello sport è fatta dai discendenti dei fondatori di New Amsterdam poi New York, dalle famiglie Stephenson (ferrovie), e Vanderbilt (finanza), il banchiere JP Morgan, il petroliere Bill Koch, l'informatico Larry Ellison, il droghiere del re Thomas Lipton, il costruttore di aerei Tom Sopwith. Anche gli italiani si sono messi in coda per vincere: Gianni Agnelli, Raul Gardini, Patrizio Bertelli (nelle ultime edizioni con il supporto di Marco Tronchetti Provera) i più visibili. Patrizio è il più ostinato della storia: sette sfide lanciate con la sua Luna Rossa, la ottava pronta a partire quando si saprà il vincitore di questa 37ª Louis Vuitton America's Cup che inizia oggi. Quel giorno di agosto di metà Ottocento la regina Vittoria stava insegnando al futuro re Edoardo VII che un sovrano «never complain, never explain», e intanto mostrava al mondo la potenza del suo formidabile Impero: a Londra c'era infatti l'Esposizione Universale e in mare gli yacht inglesi contro l'unico straniero che aveva accettato la sfida per conquistare la Hundred Guinea's Cup forgiata dal suo gioielliere Garrard.

Lo schooner America è invece una barca che quando butta l'ancora nel Solent sembra arrivare da un altro mondo per forma e velocità: quello della pesca al merluzzo sui banchi di Terranova. America vince con facilità e mostra a tutti cosa stia diventando il Mundus Novus scoperto da Cristoforo Colombo ma spiegato da Amerigo Vespucci: sarà presto la più grande potenza mondiale. America era finanziata dai soci del New York Yacht Club che poi ha tenuto il Trofeo per 132 anni consecutivi, fino al 1983 quando l'australiano Alan Bond è riuscito con la sua Australia II a portarlo via, mostrando che il mondo era diventato mercato globale. Alan Bond fece poi bancarotta ma ci lasciò una frase importante: «Chi si illude che la Coppa non sia anche una questione di soldi, è un ingenuo».

È così: partecipare è sempre servito anche ad altro. Thomas Lipton ha fatto fortuna vendendo il suo the negli Stati Uniti. Una foto storica ritrae John e Jackie Kennedy, Gianni e Marella Agnelli spettatori a Newport. Il presidente degli Stati Uniti aveva appena detto, durante la cena inaugurale: «Nel nostro sangue abbiamo la stessa percentuale di sale del mare». Quell'anno fu detto a Gianni Agnelli che non c'era spazio per una sfida italiana, arrivata solo nel 1983 con Azzurra. Gli italiani hanno partecipato al Match, ovvero la vera sfida della Coppa, quella che inizia oggi, tutto il resto sono selezioni, una volta con il Moro di Venezia nel 1992 e due volte con Luna Rossa, nel 2000 e nel 2021.

Re Felipe VI, velista come il padre Juan Carlos, ha inaugurato quest'ultima edizione in cui gli inglesi, finalmente, hanno di nuovo una occasione per riportare il trofeo nel Solent per chiuderlo nelle sale del Royal Yacht Squadron. «Siamo qui per questo, la nostra storia è legata al mare e ci manca questo pezzo di storia» ha detto lo skipper di Ineos Britannia sir Ben Ainslie. Questa è diciottesima volta che uno sfidante inglese incontra il Defender, per 17 volte il duello è stato con gli americani, l'ultima nel 1964. Sono passati almeno tre secoli da quando dal Solent partivano le navi dei galeotti, liberati per diventare coloni. Gli inglesi incontreranno i loro discendenti diventati i più forti velisti del mondo: il Defender è Emirates Team New Zealand, iscritto per il Royal New Zealand Yacht Squadron, contento di non incontrare Luna Rossa Prada Pirelli che temeva. I caratteri forti di questa sfida sono i due skipper sir Ben Ainslie, il velista più decorato del mondo, e il kiwi Grant Dalton che ha scelto i timonieri Peter Burling e Nathan Outteridge.

I tycoon finanziatori sono sir Jim Ratcliffe con la sua Ineos, la più grande impresa privata del Regno Unito e Matteo de Nora, nome italiano ma passaporto americano, molto più schivo e quasi invisibile ma non meno presente con il team.

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