«Questo Toro è affamato e pronto a mangiarsi l'Inter Peccato ci sia Cassano...»

La crisi del settimo anno non c'è. Non per il momento, almeno. Anzi: Urbano Cairo, presidente e proprietario del Toro dal 2 settembre 2005, si gode il vecchio-nuovo corso targato Ventura. E, dopo aver cambiato 10 allenatori in 7 stagioni, si prepara a guardare l'Inter dritta negli occhi con una squadra che potrebbe essere una sorpresa del campionato.
Considerato che lei è milanese di nascita e di residenza, oltre al fatto di avere lavorato per il gruppo Fininvest, quello con i nerazzurri sarà un derby personale?
«Non direi. Il mio legame con Milano è molto forte ma, essendo del Toro, il derby sarà quello con la Juve e basta».
L'Inter le sta simpatica, quindi?
«La rispetto, ovviamente. E i buoni rapporti non mancano. Poi, sul campo, ognuno cerca il massimo per sè».
Intanto i nerazzurri hanno vinto gli ultimi otto scontri diretti disputati a Torino: firmerebbe per un pari?
«Giochiamocela, seguendo gli insegnamenti di Ventura. Il risultato è una conseguenza di quel che si fa in settimana. Oggi non firmo per nulla: spero e credo nella mia squadra».
Ecco, Ventura: in una serie A che ha affidato tante panchine a giovani emergenti, voi avete preferito l'esperienza di Mr. Libidine, classe 1948.
«L'età conta fino a un certo punto. Se sei un giocatore, ha un senso per ovvi motivi. Ma se fai l'allenatore la carta di identità ha importanza relativa. Torino è una piazza esigente: serve un allenatore con grande esperienza, maturità e capacità gestionali. Lui ci ha dato tanto sia l'anno scorso, in serie B, che in questo inizio stagione, trasmettendo mentalità positiva e scegliendo la strada del gioco senza puntare solo al risultato. Ha la stessa voglia di lavorare di un ragazzino e il coraggio di lanciare i giovani».
L'Inter è allenata da Stramaccioni: quando lui nasceva, nel 1976, il Toro vinceva l'ultimo scudetto.
«Stramaccioni è sicuramente bravo, ma io mi tengo Ventura».
E all'Inter chi toglierebbe?
«Ho saputo che Cassano ha già segnato cinque gol al Toro…».
Lo stadio Olimpico sarà finalmente esaurito. Davvero non le ha dato fastidio di avere nemmeno novemila abbonati?
«No, perché la crisi c'è per tutti e soprattutto per i tifosi. Se la squadra giocherà bene e farà risultato, la gente arriverà comunque: intanto godiamoci i ventiseimila di domani. Credo in ogni caso che la grande maggioranza dei tifosi granata abbia capito il nostro sforzo: nell'ultimo mercato abbiamo speso 13 milioni e nel mio settennato sono arrivato a 60. Però, specie nel calcio, non è che più spendi e più vinci».
Quindi il popolo granata, le cui contestazioni l'avevano portata a volere cedere la società nel 2010, è tornato ad apprezzarla?
«Due anni fa eravamo appena retrocessi e c'era delusione enorme: un periodo traumatico per tutti ma la contestazione, seppur molto rumorosa, alla fine era stata di una minoranza. Ho capito i miei errori e sono ripartito: ora cerchiamo di fare calcio in modo diverso, con attenzione diversa ai giovani e ai talenti provenienti dall'estero. Vogliamo solo gente affamata, pronta a lavorare come si deve per tutta la settimana e a mettere in primo piano il bene comune: non è una frase fatta».
Il Toro resta una delle squadre più amate d'Italia, ma non alza un trofeo dal 1993 quando arrivò la Coppa Italia: cosa darebbe per vincere qualcosa?
«Ho imparato che guardare troppo avanti serve a poco. Ora è importante pensare a camminare nel modo giusto e a far crescere la società: le scorciatoie non portano a nulla».
E i soldi che potrebbe incassare dalla cessione di Ogbonna dove porterebbero?
«Angelo ha un contratto fino al 2016. Però non sarò certo io a negargli opportunità che potrebbero essere quelle della vita. Intanto faccia un grande campionato, sul futuro vedremo. Piace a tanti: è sicuro.

E se Ranocchia vale 20 milioni, lui è sullo stesso piano. È il simbolo di un vivaio che vorremmo sempre migliore e di una difesa che non prende gol, serie B compresa, da quasi 500 minuti: Inter permettendo, speriamo di continuare così».

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