Quando nel 2015 Valentino Rossi atterrò a Valencia per giocarsi il titolo mondiale contro il compagno di squadra in Yamaha, Jorge Lorenzo, c'era un Paese spaccato, diviso tra guelfi e ghibellini dell'impennata, tra chi riteneva che il Dottor Rossi fosse vittima di una complotto di matrice ispanica ordito dallo stesso Lorenzo e da Marquez per non fargli vincere il decimo titolo, e chi sosteneva che un po' Valentino se la fosse cercata, complicandosi la vita con ginocchiate e squalifiche nel gp precedente. Ci fu anche una interrogazione parlamentare sul biscotto iberico, così fu definito da Bolzano a Lampedusa l'epilogo amaro della gara e il mancato mondiale del nostro. Quando mercoledì Francesco, detto Pecco, Bagnaia è atterrato a Valencia c'era invece un Paese che pensava a tutt'altro, un Paese che motoristicamente parlando, questo meraviglioso finale di campionato aveva praticamente ignorato. Con buona pace di una rimonta epocale che nello sport si è concretizzata raramente, e di un'accoppiata pilota italiano su moto italiana che non vedevamo da mezzo secolo. Colpa di Pecco poco personaggio? No, colpa di Valentino troppo personaggio e troppo tutto per noi. Come se il campione che aveva sdoganato un grande sport rimasto sempre di nicchia e per appassionati, ritirandosi, avesse portato con sé la passione di un popolo. Quante volte in questi mesi abbiamo scritto, letto, sentito dire che Pecco piemontese di Chivasso era emigrato a Tavullia e dintorni per abbeverarsi alla fonte del Maestro, del Mentore? Quante volte abbiamo dipinto questo quadretto quasi ci servisse per dare peso a un non personaggio che cercava, a fatica di diventarlo. Ecco. Bagnaia adesso lo è.
Ci è riuscito con eleganza, più da giocatore di scacchi che motociclista, regalando alla Ducati e agli appassionati orfani di Rossi qualcosa che neppure Valentino aveva conquistato, e regalando a tutti noi una strana e calda sensazione di grande gioia mista a grande rimorso. Quello di averlo fin qui ignorato.
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