Spalletti: "La mia e nostra Nazionale azzurra alla ricerca della felicità"

Il ct: "Voglio gioia intorno e in chi indossa la maglia. Vedrete la migliore versione di me"

Spalletti: "La mia e nostra Nazionale azzurra alla ricerca della felicità"
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Un ct alla ricerca della felicità. O forse della nuova felicità dopo quella perduta a Napoli nonostante lo scudetto e la gioia dei tifosi partenopei. Tutto per colpa di quel rapporto «usurato» con De Laurentiis e di quella penale da pagare per aver accettato l'offerta della Figc poche settimane dopo il divorzio dal club. «Spero che la vicenda finisca nella maniera migliore per entrambe le parti, la palla è agli avvocati...», taglia corto sull'argomento Luciano Spalletti, concentrato ormai sul nuovo ruolo accettato in un secondo, come ha rivelato il presidente Figc Gravina. Il giorno dell'investitura ufficiale lo ha vissuto con apparente serenità. Anche se come i predecessori, ora che si è seduto da ct su quella cattedra dell'Aula magna dalla quale ha fatto spesso il docente ai futuri colleghi, non è riuscito a dissimulare l'emozione. Perchè si sta avverando quel «sogno partito da lontano quando avevo 11 anni e la bandiera cucita da mia madre nel 1970 per festeggiare il 4-3 alla Germania. Ora questa bandiera la porterò quando andrò in panchina per far rinascere il sogno di tutti i bambini».

La promessa agli italiani è esplicita ed è arrivata al termine di un'ora di pensieri e parole sulla sua nuova esperienza agli albori. «Forse non sarò il migliore allenatore per la Nazionale, ma sarò di sicuro il miglior Spalletti possibile», così il secondo tecnico toscano dopo Marcello Lippi alla guida della nostra Nazionale. Puntando, oltre alla felicità («è quella di cui abbiamo bisogno, deve averla anche chi sta intorno a me, io mi specchio nella gioia degli altri»), su altri due concetti chiave per chi vestirà la maglia azzurra durante la sua guida tecnica: senso di appartenenza e responsabilità. «In un mondo che concede l'accesso a tutto non tutti possono indossarla. De Rossi diceva sempre: «Ho due maglie». Giusto, quella del club la mettiamo sopra quella della Nazionale. E chi la indossa deve restituire con i comportamenti ciò che ha avuto La nostra guida saranno i campioni che hanno scritto la storia con l'esempio, penso a Buffon (nuovo capodelegazione azzurro in prima fila ad ascoltarlo, ndr). Di Gigi, che è bello grosso, andrebbero fatti mille pezzetti e dati ai giocatori...».

E poi la responsabilità, «una cosa che in alcuni momenti ti schiaccia ma per essere persone forti ne abbiamo bisogno, io senza responsabilità non so dare il meglio di me stesso. Voglio fare la storia come Pozzo, Bearzot e Lippi». C'è l'ex milanista Boban in rappresentanza dell'Uefa ad assistere alla «prima» (un segnale dell'«unità del calcio europeo», così Gravina). E ci sono i collaboratori di Spalletti, 11, a cominciare dai due storici Domenichini e Baldini.

Le prime scelte per le sfide con Macedonia e Ucraina sono state fatte all'insegna delle certezze («da Mancini ho ereditato una buona Nazionale, lo dicono le 37 vittorie di fila e i tanti giovani lanciati», così il nuovo ct azzurro). Si riparte dal 4-3-3, dalla ricerca del regista («ce ne sono, penso a Locatelli nella Juve ma anche a Cristante nella Roma pure con modalità diverse») e di nuovi leader ora che tutta l'ex BBBC juventina è evaporata in azzurro. E poi i soliti problemi dei convocabili - 150 sui 570 giocatori di A - e del rapporto con i club. «Conosco le loro difficoltà, ma devono sapere che il bene della Nazionale è il bene del calcio italiano». Chiusura ai veterani («Verratti e Jorginho non ci sono per una questione di scarso minutaggio»), apertura agli oriundi («un detto indiano dice che non è dove nasci che rivela la tua tribù, ma dove muori») e il solito dilemma del nove. «Non sono preoccupato, c'è anche chi sa adattarsi a quel ruolo...».

L'ultima notte nella

riserva di Montaione e stasera l'avventura di Spalletti avrà inizio. Con la missione di «cancellare la delusione per i Mondiali mancati, ma anche prendere le distanze dall'idea di credere di non essere più nel grande calcio».

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