L'ultimo. Ti passano il testimone e a quel punto davanti a te hai una sola strada con due diversi finali: puoi rovinare tutto, oppure entrare nella storia per sempre. Filippo Tortu aveva una scelta, ha fatto quella giusta: «It's coming home», ha detto, la Gran Bretagna è battuta. Di 1 centesimo.
Il primo. Filippo era il numero uno, la roccia su cui posava l'atletica, la sicurezza di un settore che il suo personale testimone lo aveva perso da qualche parte in qualche pista. Prima di Tokyo l'umore era nero, Tortu reggeva il peso di tutto il suo mondo e d'altronde era il predestinato. Madrid, giugno 2018, 20 anni, la speranza bianca. Il primato di Pietro Mennea sui 100 metri viene cancellato da questo ragazzo con la faccia pulita, che arriva dalla Brianza per raccontare un sogno. Il tempo è 999, sotto quella soglia che decide la differenza tra un buon velocista e un campione. Filippo entra tra i grandi, il segreto? «Quando corri non devi pensare a nulla».
L'ultimo. In una staffetta è quello che mette il punto su quello che fanno gli altri. E a Filippo la staffetta è sempre piaciuta: «Io vengo dal calcio, lo sport di squadra mi piace. Si mettono da parte tutte le rivalità e si corre per uno scopo unico. E se poi arrivi in finale, non devi porti più limiti». In questi tre anni Tortu è stato il frontman di uno sport che si stava ricostruendo. Il lavoro della federazione guidata dall'ex presidente Alfio Giomi metteva le fondamenta, ma per arrivare al tetto c'era bisogno di lui. Filippo, con il padre Salvino come allenatore. Il mondiale di Doha subito dopo quello storico record come lasciapassare definitivo. Settimo, 1007, «e tra due anni vedrete a Tokio...».
Il primo. Non poteva essere che lui il primo velocista a medaglia nei Giochi. E invece gli anni diventano tre, ti prendi pure il Covid «e non riuscivo più neanche a respirare», torni in pista guarito e qualcosa non va. Non sei tu, non sono i tuoi tempi. Fai solo due meeting, «e ho fatto pure schifo». E poi spunta quell'altro, che è pur sempre un amico, però va più veloce. Arrivano le critiche perché ti alleni all'Arena di Milano, ma che critiche sono? Il mondo diventa sempre più pesante, arrivano le Olimpiadi, quella faccia ai blocchi di partenza non sembra la tua, ti manca un po' il fiato. E il virus è un altro, è nella testa.
L'ultimo. Ti hanno messo per ultimo, tutto sommato nei 100 non sei andato male. Ma l'altro ha vinto l'oro, è stato lui il primo italiano a medaglia nella gara più gara di tutte. Quando si corre non si dovrebbe pensare a nulla, però... Pum, lo sparo: primo cambio ok, Jacobs è un razzo, Desalu perfetto, oddio, si avvicinano, prendi il testimone, saresti pure in zona podio, però... Però puoi rovinare tutto, e invece no: decidi di andare oltre te stesso, la corsa diventa fluida, rimonta, rimonta, rimonta, il tuffo. Quando arriva, Filippo Tortu non ci crede, quando appare «Italia» sul tabellone impazzisce, la faccia è la sua, la gioia è di tutti: «Come ho fatto? Quando ho visto che Mitchell era lì, mi son detto di non pensare più a nulla. Sentivo che l'avrei superato».
Il primo. Con i tuoi compagni, ormai amici per sempre. Con il tuo mondo, che ti ha ritrovato. Con te stesso, anche se non sei solo: «Non voglio parlare di me, la staffetta si corre in quattro. Ero più lucido quando correvo di quando ho tagliato il traguardo.
L'ultimo. Non sarà certo l'ultimo trionfo di Filippo Tortu. Ha solo 23 anni, e ha scelto una strada dalla quale non tornerà più indietro.
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