Stavolta voleva fare il «macho» a spese dell’Inter

Colpevole, magari per troppo amore nei confronti della maglia che da 7 anni indossa come una seconda pelle, ma colpevole. In alcune situazioni l’amor proprio, anche se misto alla passione, deve lasciare il passo alla ragione, all’equilibrio, alla causa comune. Ma figuratevi se Marco Materazzi poteva permettersi questi ragionamenti alla mezz’ora della ripresa, con il rigore del possibile successo sul Siena. In quei momenti ha creduto di chiudere l’avventura in nerazzurro (perché se ne andrà dall’Inter, vedrete) ponendo la sua inconfondibile firma sul risultato. C’era riuscito un anno fa nella città del Palio, e fu scudetto, perché non avrebbe dovuto ripetersi con la squadra toscana davanti al suo pubblico? La trance agonistica lo ha indotto ad agire d’istinto. Che il rigore ci fosse o non ci fosse, non gli importava affatto. A lui interessava batterlo, fare gol e correre come un invasato accanto alla bandierina del calcio d’angolo baciando un lembo della maglia. Chissà se nella sua testa si era immaginato la scena. Di qui la voglia di portare via il pallone a Cruz, che l’aveva già sottobraccio e si accingeva a compiere uno dei riti più dannati del calcio. Ne sanno qualcosa Platini, Maradona e Baggio. Mai e poi mai avrebbe immaginato di sbagliare quel rigore, il decimo accordato all’Inter in questo balordo campionato, il primo a sapere di fiele.
A 13 minuti dal 90’ la sorte gli ha voltato le spalle fregandosene altamente di quanto aveva scritto Pier Paolo Pasolini in un capitolo dedicato a Picasso: «Bisogna essere folli per essere chiari». Materazzi lo è stato, ma gli è andata buca. Se avesse recuperato un barlume di lucidità, si sarebbe reso conto di trovarsi nel posto sbagliato nel giorno sbagliato. Altrimenti non avrebbe preso una traversa, dato l’avvio al pareggio del Siena con un fallaccio su Locatelli, respinto il tiro di Cruz destinato in rete. Poi il rigore calciato mollemente, nulla da spartire con quello segnato nella finale mondiale di Berlino. E poco conta che anche un anno fa non toccava a lui l’incombenza di calciare il rigore a Siena. Allora il clima era diverso, mancavano cinque giornate alla conclusione del campionato e bastava Mancini a mettere ordine nello spogliatoio. Adesso ci vorrebbe uno psicologo di chiara fama per sconfiggere l’ansia che divora tecnici, giocatori, dirigenti e tifosi nerazzurri dopo i due match-balls gettati al vento con Milan e Siena. Lo testimoniano i sondaggi che danno favorita la Roma sull’Inter.
Materazzi colpevole, quindi, di leso scudetto. Ma va aggiunto che s’è trovato in buona compagnia quando ha voluto dimostrare di essere il più «macho» del bigoncio. Nessuno l’ha contrastato. O meglio nessuno ha avuto il coraggio di dirgli a brutto muso: «Lascia il pallone a Cruz, è lui il rigorista».

Solo Mancini, percependo sinistre congiunture dentro di sé, ha cominciato ad agitarsi. Ma non è bastato. E adesso Matrix, insultato dagli ultras nerazzurri, è diventato l’idolo di quelli rossoneri. E se cambiasse sponda?

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