Storia filosofica del "Vaffa", insulto artistico

Nelle Nuvole, Aristofane mette in scena un agone tra la personificazione delle virtù tradizionali, il Discorso Migliore, e quella delle "nuove filosofie", il Discorso Peggiore

Storia filosofica del "Vaffa", insulto artistico
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Nelle Nuvole, Aristofane mette in scena un agone tra la personificazione delle virtù tradizionali, il Discorso Migliore, e quella delle «nuove filosofie», il Discorso Peggiore: in uno dei momenti più esilaranti della discussione, che farebbe svenire il garante di qualsiasi diritto, il Discorso Peggiore domanda al Discorso migliore che genere di persone siano gli avvocati: «rottinc», risponde il Discorso Migliore. «E i politici?», domanda ancora, imperterrito, il Discorso Peggiore. «Rottinc», risponde il Discorso Migliore. «Anche gli spettatori, guarda un po' chi sono in maggioranza. Cosa ne concludi?» ribatte il Discorso Peggiore, costringendo alla resa il Discorso Migliore. Nel suo Breve guida filosofica al vaffanculo! (Mimesis), Paolo Pedote racconta, in maniera a volte un po' confusa e non senza inesorabili crolli (perché mai citare, più di una volta, Saviano, o dare del patetico clerico-fascista ai Turbamenti del giovane Törless del povero Musil?), le vicende del «modo di dire» più celebre della storia: da Socrate a Umberto Eco, con il suo «invito a recarsi là dove potrebbe opportunamente qualificarsi come partner passivo di un rapporto tra maschi adulti consenzienti», fino all'orribile Dito Medio di Cattelan giustamente e genialmente posizionato davanti alla Piazza Affari milanese sono molti gli esempi di un detto fatto di simboli, metafore e profondissimi tabù psicologici. Il mondo antico riserva varie gioie: sempre nelle Nuvole, Socrate tentava di istruire Strepsiade sul piede metrico, il dattilo (che in greco significa «dito»). Meravigliato ed eccitato, Strepsiade rispondeva: «il dito? A dire il vero, quando ero ragazzino il dito era questo!». Esasperato, Socrate lo insulta: «Sei uno stupido cafone!». Il dito di Strepsiade è, naturalmente, quello del vaffa per eccellenza, il dito medio, digitus medius per i romani. Marziale, ad esempio, in uno nei suoi epigrammi, scriveva: «Mi deridi e alle mie minacce esibisci l'impudico dito?».

La fortuna del detto prosegue nei secoli, come testimoniano le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, che annotava come il terzo dito fosse impudicus «perché usato spesso per insultare in modo indecente». E anche Erasmo da Rotterdam scriveva che il gesto esprime «profondo disprezzo», citando anche Diogene Laerzio: «con l'alzata del dito medio si significa qualcosa di osceno».

Il digitus impudicus, naturalmente, raccoglie attorno a sé, come già testimoniavano in maniera eloquente Catullo e Marziale, la tensione legata alla virilità; non serve scomodare Freud e il suo Totem e Tabù per comprendere che ogni tabù si fonda sull'oscillazione di una coppia di opposti: tra lecito e illecito, sacro e profano, detto e non detto, che nel caso del «vaffa» devono essere ricondotti, naturalmente, al sesso anale, violato e negato, evocato e almeno simbolicamente forse desiderato. Rimbaud e Verlaine si spingeranno a scrivere un esplicito sonetto al riguardo.

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