La storia si studia a lezione di pop

I nuovi brani sono pieni di riferimenti al passato che aiutano i giovani(ssimi) a conoscerlo

La storia si studia a lezione di pop

Finora non era mai accaduto, anzi. Il pop è sempre stato il passepartout per capire meglio il presente o per individuare le tendenze per il futuro. Ora no. Ora le canzoni di successo si abbuffano di così tante citazioni, riferimenti, scopiazzature e riesumazioni da diventare un manuale per comprendere meglio il passato, storia o costume che siano. Prima si inventava qualcosa di nuovo. Adesso si riscopre qualcosa di vecchio. E funziona.

La catena di montaggio di web e soprattutto social, che ferocemente obbliga la Generazione Z a vivere nel presentissimo, nell'hic et nunc altrimenti perde il ritmo come Charlot nella fabbrica di Tempi Moderni, sta costruendo un pubblico che non conosce la storia, tantomeno quella della musica, e che ha poco interesse per il futuro, che oltretutto non vale né clic né like.

Perciò il nuovo pop di grande consumo diventa più fascinoso quando si guarda indietro. E diventa, magari forse si spera, un pretesto per conoscere meglio, o quantomeno intercettare, frammenti di storia, di costume o anche di musica dei decenni scorsi.

Prendete l'hula hop, quell'attrezzo di «giocoleria» usatissimo e celebre negli anni Sessanta e poi sempre meno al punto che il record di durata (la rotazione intorno al bacino) è del 1987 e quindi non lo usa più quasi nessuno. E invece, grazie al brano omonimo di Noemi e Carl Brave, è tornato popolare anche tra chi manco sapeva cosa fosse. Oltretutto quello è un brano ispirato a Non succederà più, un pezzo di Claudia Mori ripescato da un'altra epoca, l'inizio anni Ottanta.

Per capirci, tante novità musicali possono diventare un pretesto per capire meglio il passato e, quando merita, ad assorbirne la forza. Ad esempio il brano Finimondo di Myss Keta musicalmente è piuttosto povero ma gode di una melodia fortissima. Se è diventato un minitormentone dell'estate 2022 gran parte del merito è senza dubbio del campionamento di Il capello, brano del 1961 di Edoardo Vianello, autentico campione del tormentone ma anche di quello che oggi è il politicamente scorretto (dai «negri» dei Watussi a Cicciona cha cha cha). In questi mesi i ragazzi, e pure i bambini, hanno cantato «Che finimondo per un capello biondo, che stava sul gilè, sarà volato, ma come è strano il fato, proprio su di me» e forse a qualcuno è venuto in mente di chiedersi da dove venissero quelle parole.

Dopotutto, la drammatica mancanza di nuove idee (capita) obbliga la musica a riesumare ciò che è rimasto sepolto del passato. Finita la riscoperta degli anni Ottanta, superato pure il reggaeton, non rimane che tornare ancora più indietro, come ha fatto Cristiano Malgioglio rielaborando Sucu sucu cantato nel 1959 dal boliviano Tarateño Rojas e poi ripreso anche da Caterina Valente. Tutt'altra roba rispetto alla trap. Altri mondi, altre atmosfere. E pure altri stimoli, che tra l'altro ricevono dagli ascoltatori un grande «up», come si dice, ossia molto apprezzamento.

La elegante Madame de L'eccezione fa scoprire gli anni Sessanta di Caterina Caselli (ora tra l'altro sua discografica) nella quale si accendevano le stesse tensioni che oggi, rivedute e corrette, agitano il suo pubblico.

Tutto torna.

In poche parole, da una parte c'è un magma monotematico e autoreferenziale di trap e urban spesso di desolante povertà creativa e, peggio ancora, interpretativa. Dall'altra c'è qualche ripescaggio che per il nuovo pubblico equivale a una scoperta. Non a caso i Maneskin sono percepiti come deja-vu dagli over 40 ma innovativi e sorprendenti da chi è più giovane. Succede che loro ripropongono, neanche tanto riveduta e corretta, un'iconografia e un insieme di simboli e provocazioni che tornano indietro di quasi mezzo secolo. Ma a chi non conosce i Led Zeppelin o i T Rex o Iggy Pop, a chi non sa che cosa sia successo negli anni Settanta e Ottanta nella musica, nella politica e anche nella lotta per diritti e le uguaglianze, risultano totalmente nuovi e inediti.

Da sempre si parla del ruolo sociale delle popstar. In passato spesso è stato un ruolo che si è preteso politico e chi non lo voleva (ad esempio Lucio Battisti o, adesso, Laura Pausini e il suo mancato Bella ciao alla tv spagnola) veniva considerato «nemico».

Invece oggi il ruolo della popstar è molto più conservatore, quasi didattico. Perciò funziona il «repêchage», il ripescaggio di temi e suoni del passato che conferma la mancanza di nuove idee e di passione innovativa tra chi «fa» musica. Perciò piacciono così tanto i richiami alle epoche trascorse.

Da una parte compensano un vuoto. Però dall'altra confermano che, come tutte le altre, anche le nuove generazioni hanno fame di idee e di passione. Il problema è di chi non gliele sa dare e le obbliga a girarsi indietro per trovarle.

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