I punti chiave
Leggendario pilota di Formula 1, Graham Hill, padre dell’altrettanto talentuoso Damon Hill, morì il 29 novembre del 1975 in un tragico incidete aero, le cui cause vennero ipotizzate ma mai del tutto chiarite.
Unico pilota da corsa ad aver vinto la cosiddetta Triple Crown - ossia il Gran Premio di Monaco, la 500 miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans - Graham Hill aveva 46 anni quand'era al comando del Piper Aztec, aereo leggero bimotore a elica che stava pilotando per tornare a Londra da Le Castellet. Località francese dove si era recato insieme alla squadra corse Embassy Hill, per portare a termine una sessione di test della nuova macchina da corsa Hill Gh2, presso famoso circuito francese intitolato a Paul Ricard.
L'impareggiabile campione, vincitore del campionato del mondo per la categoria Formula Uno nel ’62 e nel ’68, si era ritirato dalla corse professionistiche da appena quattro mesi. Dedicandosi alla parte "tecnica" e preparatoria.
Noto per la sua personalità enigmatica - particolarità che non l'aveva mai allontanato da una condotta encomiabile in pista, e dal fair play che accompagnò la sua intera carriera - perse la vita schiantandosi contro gli alberi adiacenti un campo da golf dell’Hertfordshire un sabato notte, mentre tentava di portare a terra il piccolo Piper su cui aveva sfidato - nonostante i suggerimenti - le condizioni meteorologiche assai avverse di quel penultimo giorno di novembre.
Insieme a lui quella notte persero la vita altri cinque uomini: il manager della squadra Ray Brimble, i meccanici Alcock e Richards, il progettista Smallman e il suo pupillo, il ventitreenne e promettente pilota da corsa Tony Brise.
Destinazione Londra
Decollati una prima volta dall’aerodromo di Le Castellet alle 15.30 (secondo il Greenwich Mean Time diventato Tempo coordinato universale appena tre anni prima, 1 gennaio del 1972, ndr), atterrarono all'aeroporto di Marsiglia-Marignane, dove Hill ritirò i bollettini meteorologici per il tracciato fino alla destinazione finale: Londra.
Il piano di volo presentato e accordato avrebbe condotto il Piper PA-23-250D "Aztect", codificato come N6645Y, alla pista del piccolo aerodromo di Elstree, segnalando quello di Luton come destinazione alternativa. Il decollo da Marsiglia avvenne senza la menzione di problemi alle 17.47. Mentre il traffico aereo di Londra prese contatto con l’Aztec di Hill alle 20.45.
La “Visibilità è di 2.000 metri e si riscontra una base nuvolosa di 300 piedi”. Il Piper proseguiva sulla sua rotta e alle 21.19 l’Aztec passò sotto il controllo dell’odierno e principale scalo londinese di Heathrow, che ne controllò la prima fase di approccio. La visibilità a Elstree sembrava essere scesa a soli 1.000 metri. Il Piper di Hill fu avvisato via radio, ma proseguì sulla sua rotta senza ripensamenti.
Scese di 1.200 metri mentre alla radio la torre di controllo ribadiva come la visibilità fosse scarsa, ridotta a 800 metri. L’Ok alla discesa venne comunque ricevuto. Ai comandi Hill potè approcciare la piccola pista di cemento contornata dal prato che tanti aviatori della domenica hanno toccato e ritoccato. La pista numero 27 di Elstree. Ormai l’Azteca volava a soli 460 metri dal suolo in attesa di individuarla. Da quel momento, ogni decisione successiva fu a discrezione del pilota, e venne comunicata via radio. Ma non ci fu nessuna comunicazione.
Appena sette minuti più tardi il controllo aereo che desiderava prendere contatto con il velivolo in fase di avvicinamento non ricevette risposta. Anche il contatto radar venne perduto. Il Piper Aztec pilotato da Hill, chiamato e richiamato con il codice “N6645Y”, aveva urtato un albero mentre il carrello era già stato abbassato e i flap estesi. Pronto ad approcciare una pista che forse a bordo avevano intravisto. Una pista che non venne trovata.
Mentre sorvolava il vicino campo da golf di Arkley, Hill scese ulteriormente, trovando ancora una volta le punte dei grossi alberi che lo costrinsero a scartare sulla destra mentre era appena a una dozzina di metri da suolo. La punta dell'ala toccò, il controllo venne perduto e l’Aztec finì per schiantarsi velocemente in un boschetto. L’impatto culminò in un incendio che lasciò poco e niente dell’aereo, di Graham Hill e dei 5 sfortunati passeggeri.
Si trattò di un "tragico" errore umano?
Secondo i resoconti dell'epoca la pista di Elstree era dotata delle luci e degli indicatori visivi per il suo corretto avvistamento, ma mancava di "qualsiasi tipo di ausilio radio" ed era sprovvista di una procedura standard di avvicinamento strumentale, rendendosi completamente inadatta per atterraggi in caso di bassa visibilità. Quello stesso giorno di novembre, un altro aereo privato aveva tentato ben tre approcci alla pista prima di arrendersi e deviare su un'altro aerodromo.
Alcuni testimoni confermarono che quel giorno di fine novembre le condizioni meteorologiche erano proibitive per un atterraggio a vista. La nebbia era fitta, e la visibilità a terra poteva essere considerata tea i "50 e i 100 metri". Per quanto concerne l'aereo pilotato da Graham Hill, i dati messi a disposizione degli addetti alle indagini non mostrarono alcuna anomalia o difetto meccanico. Il Piper Aztec - menzionato come un velivolo "ben tenuto" - aveva volato 1.131 ore, e benché non registrato di recente, non aveva mostrato alcuna criticità.
Era semmai l'abilitazione al volo notturno e al volo strumentale di Hill a essere scaduta di recente e non essere considerata "più valida", almeno nel Regno Unito. Ma né questo, né la una mai manifestata "stanchezza del pilota" vennero considerati come fattori da collegare all'incidente. Gli esami tossicologici post mortem confermarono inoltre che nessuna delle vittime aveva assunto alcun tipo di sostanza proibita: risultarono tutti negativi.
Per tali ragioni, e per la completa assenza di richieste d'aiuto, messaggi d'emergenza o may-day, fu impossibile determinare le reali cause dell'incidente. Gli investigatori conclusero che poteva essersi trattato di un semplice quanto tragico errore umano. L'esperto pilota di Formula 1 poteva aver interpretato male la sua altitudine mentre era in volo, leggendo male l'altimetro.
Questo potrebbe essersi verificato proprio nel momento in cui Hill si concentrava a stabilire un "contatto visivo" e non strumentale con il suolo ricoperto della fitta nebbia riportata dai testimoni a terra. Questo, o altri errori di calcolo e stima di altitudine, spazio e distanza, potrebbero essere alla base della tragedia, riconducendo tutto all'errore umano del pilota. Che si suppone abbia "scambiato le luci di Barnet" - riportate come visibili attraverso la nebbia - "per quelle di Borehamwood; e l'adiacente campo da golf di Arkley per la macchia scura accanto all'aerodromo". Inducendolo a una discesa anticipata e alla conseguente perdita dell'orientamento fatale a una quota così bassa.
Secondo gli storici appassionati di automobilismo, la tragica morte di Graham Hill, e non meno quella del suo pupillo, il giovane Tony Brise, incise pesantemente sul futuro della Formula 1.
Il figlio Damon, allora quindicenne, seguì tutta via le orme del padre, diventando pilota automobilistico e debuttando in Formula 1 nel 1992, proprio al Gran Premio di Gran Bretagna. Vinse il campionato del mondo, come suo padre, nel 1996. Sicuramente quel giorno, un vecchio campione che portava i baffi alla Clarke Gable, al di sopra delle nuvole, sorrideva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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