La vera storia dell'ultimo samurai

La storia di Jules Brunet, l'ufficiale francese che addestrò i giapponesi nella Guerra Boshin e divenne "samurai occidentale"

La vera storia dell'ultimo samurai

C’è stato un tempo in cui l’Oriente - distante come nulla all’altro mondo per la sua posizione nello spazio e nel tempo - decise di avvicinarsi all’Occidente, vorace di modernità e in perenne espansione, come un piccolo universo in terra. Fu, quella, l'epoca in cui l’Impero del Sole, il Giappone isolato e tradizionalista, scelse per volontà dell’imperatore Mutsuhito di proiettarsi nel “futuro”, avviando un processo di modernizzazione, industrializzazione e riforme che mirava ad elevare quell’isola a rango di potenza economica e militare, capace di assumere una determinata rilevanza sullo scacchiere globale.

Fu, quello, il periodo della Restaurazione Meiji, che aveva disposto, tra le numerose riforme, la costituzione di un sistema di prefetture e amministrazioni affidate al controllo di funzionari statali che avrebbe di fatto cancellato il potere dello Shogunato e quello dei samurai, la casta militare che ordinava il sistema feudale, privandoli de facto dell’autorità che avevano sempre mantenuto nel tempo. Una decisione che, nonostante l’imperatore fosse venerato e considerato alla pari di un Dio, non fu onorata da tutti i samurai e dallo shogun Yoshinobu Tokugawa, che diede vita a una ribellione che condusse alla Guerra Boshin. In questo contesto, il nostro samurai occidentale, il capitano Jules Brunet, si impose nella storia e nella leggenda.

Il primo e ultimo samurai d'Occidente

Nato in Borgogna, ufficiale di carriera ed eroe della spedizione militare francese che aveva tentato di ristabilire le volontà delle potenze europee nel Messico di Massimiliano I, teatro dove nascerà un’altra leggenda della storia bellica, quella della Legione Straniera del capitano Danjou, venne decorato per il valore mostrato dall'imperatore Napoleone III in persona e scelto dallo Stato maggiore come consigliere militare da inviare in Giappone per supportare i nuovi imperialisti giapponesi nella loro lotta contro i tradizionalisti samurai.

Esperto di artiglieria e di tattiche di ingaggio, Brunet faceva parte di un gruppo di cinque ufficiali che, ai comandi del capitano Chanoine, raggiunsero il Giappone nel 1867 per addestrare un nuovo esercito alla guerra moderna da condurre contro i ribelli e i futuri nemici dell'Imperatore. Tuttavia, il suo idealismo e la profonda fascinazione per la condotta dei samurai, il bushido onorato dai guerrieri che "servono la nobiltà", si suppone abbiano catturato la mente di Brunet al punto da vederlo tradire la sua missione, per finiere nelle file del dello shogun ribelle Tokugawa. Addestrando i suoi samurai nell’uso delle armi occidentali e nelle strategie di guerra moderne che avrebbero dovuto servire il nuovo esercito imperiale.

Dopo aver preso parte a molte battaglie, il capitano Brunet si rifiutò di lasciare il Paese dopo la sconfitta dello shogun ribelle, fuggendo di isola in isola, e assumendo un ruolo di primo piano nella Repubblica separatista di Ezo, anch'essa in lotta contro l'esercito imperiale e la campagna mossa dalle forze messe in campo della Restaurazione Meiji.

Quando nel settembre del 1868 la missione militare francese ricevette l'ordine di lasciare il Giappone, il samurai occidentale decise di venir meno al comando di Parigi, dimettendosi dall'Esercito francese e schierandosi con l'Alleanza del Nord del Giappone e il suo esercito ibrido che continuava a ribellarsi alla modernizzazione voluta dall'imperatore. Nella lettera di dimissioni, scrisse: "Ho l'onore di presentarvi le mie dimissioni dal grado di capitano; dichiaro che da questo 4 ottobre 1868, rinuncio alle prerogative della posizione di ufficiale di artiglieria nell'esercito francese", spiegando in una seconda missiva "Resto solo, desidero continuare da solo" nelle nuove condizioni che avevano portato gli sviluppi della sua missione a fianco del Partito del Nord. Un partito che sottolineava essere "favorevole alla Francia" e agli interessi francesi in Giappone.

Un idealista ribelle a cui spettò ogni onore

Nel 1868, un editto imperiale sciolse in maniera "definitiva" tutti i poteri e le autorità legate allo shogun e mise fuorilegge ogni samurai che intendeva ribellarsi alla volontà dell'imperatore. L'ultima resistenza, minata dalle schiaccianti capacità dell'esercito imperiale, si esaurì rapidamente e i vecchi signori e i guerrieri che "servivano la nobiltà" si arresero uno dopo l'altro, passando dalla parte dell’Imperatore. Ritenendo che fosse "la cosa più saggia da fare non solo per la loro sopravvivenza, ma anche per l’unità e il futuro prospero del Giappone".

Il capitano Brunet e gli altri consiglieri francesi, che erano stati a lungo ricercati dal governo imperiale come "traditori" del loro mandato, una volta arrestati vennero condotti prima a Saigon e poi in Francia, dove però Brunet era diventato un personaggio noto alle cronache ed estremamente stimato per l'idealismo romantico che aveva animato la sua battaglia.

Tornato in Europa con tre spade da samurai, prezioso dono di Tokugawa e simbolo del suo servizio alla causa dei samurai, Brunet ricevette una condanna lieve per essere poi reintegrato nell'esercito francese dove avrebbe ottenuto il grado di generale di divisione a fine carriera. Non possiamo escludere che la sua missione in Giappone, anche da "insubordinato" non avesse avuto uno scopo e un senso per il governo di Parigi che temeva le spie ma ne faceva altrettanto uso.

Come ufficiale di rango elevato, partecipò e si distinse nella Guerra franco-prussiana, dove cadde prigioniero durante l'assedio di Metz. Al suo ritorno in patria, fu nominato ufficiale della Legion d'onore e assegnato come aiutante di campo al ministro della guerra, concludendo la sua carriera come capo di gabinetto del Ministero della Guerra. Nel maggio 1881, il Nuovo Impero del Giappone riabilitò la figura di Brunet, l'ultimo samurai, conferendogli onorificenze e nominandolo Commendatore dell'Ordine Militare del Sol Levante e Grande Ufficiale del Sacro Tesoro.

Si dice che le tre spade giapponesi donategli da Tokugawa, lo shogun ribelle, appartengano ancora alla sua famiglia e che vengano tramandate, come le insegne che siamo soliti onorare nel Vecchio continente, dai suoi discendenti.

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