Gli strani affari dell’avvocato amico di D’Alema

Bari Un fiume di denaro riciclato attraverso una serie di società, le chiavi della cassaforte affidate a un imprenditore, una rete di prestanome, l’appoggio di funzionari di banca, le relazioni pericolose tra un bancarottiere e noti professionisti della Bari-bene, le mire su un faraonico progetto per la realizzazione di un campus universitario unico in Italia: è questo lo scenario che affiora dall’inchiesta che ha alzato il velo sul volto imprenditoriale del clan capeggiato da Savino Parisi detto «Savinuccio», numero uno della criminalità organizzata barese, il boss del quartiere Japigia dove imponeva le sue regole persino vietando il passaggio dei motorini per la strada di casa, dominatore incontrastato del mercato della droga nei primi anni Novanta e artefice di una scalata economica curata con criteri manageriali, arrestato già dieci anni fa mentre assisteva alla partita di calcio Inter-Bari comodamente seduto in tribuna d’onore a San Siro.
La svolta nelle indagini è arrivata due giorni fa, quando sono state eseguite dalla Guardia di finanza 83 ordinanze di custodia cautelare, 53 in carcere e 30 ai domiciliari. In tutto gli indagati sono 129 e tra loro ci sono noti professionisti. Non solo direttori di banca, ma anche tre avvocati. Nei confronti di due legali, entrambi esponenti di spicco della sinistra barese, è stata disposta l’interdizione professionale per due mesi: si tratta di Gianni Di Cagno, ex consigliere laico di centrosinistra del Consiglio superiore della magistratura, ritenuto un uomo di fiducia di Massimo D'Alema, e di Onofrio Sisto, ex vicepresidente Pd della provincia di Bari, presidente dell’esclusivo Circolo Tennis, ritrovo dei vip cittadini.
Secondo gli inquirenti, i due avvocati avrebbero utilizzato denaro di provenienza illecita per conto di Labellarte dopo aver ricevuto mandato per curare la realizzazione del campus di Valenzano. Proprio i rapporti tra l’imprenditore e i legali vengono presi in esame dal gip Giulia Romanazzi: il magistrato, in una delle 1.595 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare scrive che «i professionisti erano ben consapevoli del fatto che gli investimenti effettuati da Labellarte nell’affare universitario traessero origine da canali di approvvigionamento illeciti». Inoltre, Sisto è accusato di aver utilizzato il cellulare che aveva nella propria disponibilità quando era vice presidente della Provincia per parlare con Labellarte.
Gli avvocati respingono le accuse, sostengono di aver agito correttamente nell’ambito della propria attività professionale e intendono chiarire tutto sabato prossimo, quando saranno interrogati dal giudice. Tra gli indagati nell’inchiesta che sta facendo tremare la città e che crea subbuglio nella sinistra pugliese, c’è però anche la parlamentare del Pdl Elvira Savino: secondo l’accusa avrebbe consentito l’intestazione fittizia di un conto corrente «di fatto – scrive il gip Giulia Romanazzi – nella disponibilità di Michele Labellarte». Quest’ultimo, morto a settembre, imprenditore e presunto riciclatore della mafia barese, già condannato per bancarotta fraudolenta e una maxi-frode fiscale, è uno dei personaggi chiave dell’inchiesta in quanto portava avanti il progetto di realizzazione del campus universitario a Valenzano, pochi chilometri da Bari, opera colossale che avrebbe dovuto ospitare 3500 studenti.

Secondo il gip «la Savino era perfettamente a conoscenza quantomeno della più importante operazione di reinvestimento degli illeciti capitali provenienti dalle pregresse attività delittuose del Labellarte e, cioè, del cosidetto affare universitario»; inoltre, sostiene sempre il gip, la deputata, su sollecitazione di Labellarte, si sarebbe attivata a presentare il progetto al ministero dello Sviluppo Economico ed al ministero dell’Istruzione». La parlamentare respinge le accuse.

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